La stessa matrice che produce, a stampo, i maestri inani, sforna anche ministri come Poletti Giorgio, responsabile del dicastero del Lavoro, il quale si è messo sulla scia di illustri predecessori, ad assecondare (melius, a compiacere) i pruriti e le voglie dell’Evo Competitivo. In precedenza, i nostri giovani si erano già beccati l’epiteto di bamboccioni. Oggi je toccano le idee dell’ex presidente di Legacoop, autentici gioielli della corona (di virtù pedagogiche) di una scuola allineata ai tempi. Eccone alcuni: “meglio finire l’università a 21 anni con voto 97 che tirarla di lungo con voto 110 e lode”. Oppure: “la storia secondo cui c’è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita. Il lavoro non si fa in un posto: il lavoro è un’attività umana, si fa in mille posti”. E, già che ci siamo, rottamiamo anche il concetto obsoleto di straordinari e l’idea che lo stipendio debba essere una variabile proporzionale al tempo e alle energie profuse. Della serie, il fatto che lavoriate troppo non è un problema mio, conta la produttività, quindi olio di gomito, meno pippe culturali, stop al mito del voto selettivo di eccellenza. La macchina della produzione uber alles. In un mondo corroso dall’ideologia del PIL come si fa a eccepire qualcosa? Ma Poletti, poverino, ammette pure che non è farina del suo sacco. Lui si limita a riportare le osservazioni che gli fanno quotidianamente quelli che “si occupano di ricercare e selezionare le persone per le imprese del nostro paese” e “i giovani che fanno esperienze internazionali”. Come a dire, nell’ordine, le due categorie di vittime privilegiate del villaggio globale: gli head hunter che gli procacciano la servitù e la servitù che si adegua alle forme, ai luoghi e alle esigenze della struttura organizzata e finalizzata a spremere il capitale umano. I ministri oggi auscultano i borborigmi della matrice e li traducono in proposte funzionali ai suoi desideri. Ergo, non è colpa del ministro. Poletti, alla pari dei colleghi, non si situa a monte, ma a valle dell’ordine di cose vigente. È un collettore dei bisogni prioritari dei Mercati, cioè dei Signori incontrastati del terzo millennio. Dunque, placido e paciocco, col suo viso rassicurante da Giovanni Rana dell’economia mondo, aggiunge: “anziché schierarsi, come spesso accade nel nostro Paese, tra partigiani del pro e del contro, si provasse a sviluppare un confronto utile a fare insieme un passo in avanti in direzione della modernizzazione del Paese e nell’interesse dei nostri giovani”. Avete un senso di déjà vu, di déjà entendu? Tranquilli, è normale. Tutti i nostri leader, oggi, chiedono di non schierarsi, di non dividersi, di non opporsi, ma di lavorare insieme, uniti, per la modernizzazione. Questa è l’epoca dove opporsi non è neppure difficile, è impossibile. Anzi, ridicolo. La contestazione, la protesta, l’anticonformismo intelligente sono banditi, sono anti-moderni. C’è un’unica cosa da fare, un solo progetto di vita all’orizzonte: consumarsi di lavoro per far ripartire i consumi.
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