Adesso divertiamoci un po’, dai. Parliamo dell’establishment intellettuale e di quanto je rode che abbia perso l’establishment politico. Ma che minchia vuol dire establishment, mi ha chiesto un amico (che – potendolo fare – avrebbe votato la Clinton)? Vocabolario, a te la parola: L’insieme dei detentori del potere economico e politico, e dei loro sostenitori, che in un paese vigilano sul mantenimento dell’ordine costituito e occupano un posto di rilievo nella vita sociale e culturale. Mi hai tolto le parole di bocca, così come sono rimasti senza parole gli esponenti dell’ordine costituito in Italia. L’altra sera ho avuto un po’ di culo e me ne sono cuccati quattro in un colpo solo in una trasmissione di Lilli Gruber. Una era Lilly Gruber, e vabbe’, l’altro era Beppe Severgnini col suo ciuffo sempre più bianco e sempre più trendy, il terzo era Oscar Farinetti, il guru di Eataly, cioè del buon cibo italiano nel mondo, e l’ultimo Giovanni Floris. Non mi sembrava vero. Ho accarezzato lo schermo, incredulo, come quando ti appresti ad assistere alle semifinali di una Champions League con Real, Barca, Bayern Monaco e Liverpool. Che vuoi di più dalla vita? Ma non divaghiamo. Atmosfera in studio: tetra. Ormai i nostri avevano metabolizzato l’inopinata vittoria di Donald pasticcione il cui ciuffo arancione sta al ciuffo candido di Severgnini come l’oligarchia dei poteri forti sta alla democrazia del pensiero debole. Comunque sia, erano tutti terribilmente affranti. Il Beppe nazionale, in particolare, era stranamente livido, non esibiva quel consueto e studiato sorriso maramaldo intriso di british humor con cui da anni ci racconta da par suo la magia della globalizzazione. Si capiva quanto stesse soffrendo dalla ciocca floscia, dal ghigno mesto e da un certo malcontenuto livore con cui ci ammoniva sui rischi epocali del mancato trionfo di Hillary. Quanto a Floris, fatto un incidentale richiamo al suo nuovo romanzo, ha illuminato come una folgore bianca – nella notte buia e tempestosa – i cuori in tempesta dei telespettatori e l’accecante profondità delle sue parole mi ha persino crepato il plasma da quarantadue pollici. Ha detto, più o meno, che se prevale la pancia vince Trump, se prevale la realtà (intendeva dire la ragione socratica, la virtus latina, l’equilibrio rinascimentale) allora vince la Clinton. E Farinetti? Ha alzato il livello del dibattito a vette inaccessibili ai comuni mortali parlando del rischio di fine del neonato welfare americano e di prossima fine del welfare europeo e dei problemi del surriscaldamento globale che, evidentemente, saranno surriscaldati ulteriormente dalle scoregge verbali di Trump. In conclusione, uno spasso. Anche se, alla fine, ti chiedi perché cavolo lo chiamano Nuovo Ordine Mondiale se sono anni e anni che ci viviamo dentro e che i nostri intellettuali tentano di piazzarcelo come un salvavita Beghelli. Poi ti resta l’amaro in bocca e ti chiedi per quale motivo – per udire parole sensate sull’election day USA – tocca sintonizzarsi su youtube e ascoltare il filosofo Diego Fusaro, il giornalista Paolo Barnard, il cantautore Giuseppe Povia. Perché l’antologia delle minchiate (per quanto autorevolissime) merita invece il prime time di prima serata? Poi mi è tornato in mente il dizionario e quell’inciso nella definizione della funzione dei componenti intellettuali dell’establishment (vigilano sul mantenimento dell’ordine costituito). Ciò che li turba, è il nuovo, capite? Il Vecchio Ordine Mondiale va benissimo.
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