Il Consiglio Europeo destinato ad affrontare la questione migranti si è risolto con un sostanziale pareggio. Qualche concessione declamatoria, per via diplomatica, alle giuste istanze italiane (“Chi sbarca in Italia sbarca in Europa”) e gelosa custodia ‘su base volontaria’ dei propri rispettivi confini da parte di tutti i ventisette partner dell’Unione. Il giorno dopo sembrava una qualsiasi mattina post elettorale di un’elezione della prima repubblica, negli anni Ottanta: avevano vinto tutti. Da Macron al blocco di Visegrad, da Conte alla Merkel. Il che significa, ovviamente, che non ha vinto nessuno. Ma significa anche una cosa più importante e decisiva. Il Consiglio in questione ha certificato, per l’ennesima volta, la costitutiva impossibilità del progetto di una unità politica europea.
Troppo diversi gli interessi, i bisogni, le tradizioni, i linguaggi, i sentimenti, le pulsioni degli Stati per poter pensare a qualcosa di diverso (o di più) rispetto al massimo risultato raggiungibile: una pacifica convivenza tra nazioni, ispirata al common sense del buon vicinato, in grado di raggiungere, volta per volta e caso per caso, discreti compromessi sulle materie di comune coinvolgimento. Tale obiettivo, nel secondo dopoguerra, l’Europa l’aveva gradualmente conseguito. Poi il processo è degenerato, anzi è stato fatto dolosamente degenerare. Per tramutarsi in un incubo. In primis dal punto di vista economico e del benessere generale delle popolazioni del vecchio continente. Ormai, solo pochi esagitati masochisti continuano a non cogliere il nesso strettissimo tra l’ingresso nell’euro, il consolidamento dell’unione bancaria, monetaria e fiscale tra i suoi membri, il termitaio di burocrazia cancerogena delle sue istituzioni e la famosa crisi in cui l’Europa è precipitata e, in qualche modo, ancora si dibatte. Quindi, la prima delle grandi promesse (“l’Unione ci porterà a un prodigioso aumento di opportunità, libertà e ricchezza”) del sogno europeo si è rivelata una monumentale menzogna; e ci hanno pensato i fatti, con la loro abrasiva durezza, a smascherarla.
Eravamo – e siamo – un’area valutaria non ottimale, come hanno cercato invano di spiegarci fior di economisti. Ma quella economica è solo una ricaduta – la più evidente diciamo – di una follia ben maggiore: la pretesa di raggiungere, attraverso la scorciatoia economica (con la camicia di forza di una moneta comune), l’obbiettivo della federazione politica. Come dire: buttiamo i bambini nell’acqua e impareranno a nuotare; diamogli banconote identiche e ci chiederanno un unico capo. Un unico capo. Un’unica cupola. Ecco lo scopo conclusivo dell’utopia europeista. Ma i bambini recalcitrano perché l’idea di affogare non li stuzzica affatto. Hanno ben inteso che il virus paneuropeo è la radice del male. Esso non scaturisce da un caldo, spontaneo e sincero, sentimento popolare. È, piuttosto, la fusione fredda delle velleità di dominio di talune opache elite. Ma col popolo, con la “plebe riscattata” – ammoniva la Fallaci –, prima o poi ti ci scorni. Confidiamo che Oriana avesse ragione.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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