C’è un punto dell’ultima canzone trionfatrice a Sanremo, Occidentali’s Karma, che merita di essere approfondito. Quello in cui Gabbani canta: “Tutti tuttologi col web”. È, con tutta evidenza, una critica neanche troppo velata a quella sorta di democratizzazione del sapere e delle conoscenze cui ha contribuito la rete. Ascoltando quel verso della hit, molti sono indotti, anche solo a livello inconscio, ad acconsentire: è vero, internet ha reso accessibile con un clic una mole sterminata di informazioni a chiunque in qualsiasi momento. E questo porta un sacco di gente (anzi proprio “tutti”, ci suggerisce il cantante) a sparlare di tutto, senza possederne le competenze. Quindi, devi avere la patente per parlare di qualcosa. Altrimenti, taci. Discorri solo di ciò ci cui ti occupi. Guai se esci dal seminato. Se sei un commercialista, parla di contabilità. Se sei un avvocato, di diritto. Se sei un medico, di medicina. Ma se, per caso, osi scavalcare il recinto, sei un “tuttologo del web” cioè un fanfarone inattendibile. Interessante: questa tesi è perfettamente strumentale agli interessi del Sistema di Produzione e Consumo compulsivo-ossessivo di cui siamo tutti, volenti o nolenti, industriosi ingranaggi. Convincere le masse che devono interessarsi, e quindi discettare, solo di ciò che conoscono per averlo studiato, conduce a una società di mega-specialisti che, magari, tutto sanno del loro specifico campo di pertinenza, ma nulla capiscono di come operi l’insieme. Tanto più in un periodo in cui l’iper-qualificazione settoriale e la proliferazione di nicchie parcellizzate di micro-saperi tecnico-operativi ha raggiunto livelli impensabili. Incalzare la gente a farsi i fatti suoi, da un punto di vista culturale e intellettuale, è una mossa formidabile per dare scacco matto al pensiero riottoso, alternativo e controcorrente. Non vogliamo, sia chiaro, avallare la pessima abitudine di chi si improvvisa esperto di una materia non sua. Vogliamo, piuttosto, rivendicare il diritto di ogni essere umano a poter pensare anche al di fuori degli schemi precostituiti del suo curriculum di studi, a poter allineare i puntini dispersi e caotici di tutto il casino che c’è. Quindi a occuparsi di anche di altro, a essere un “tuttologo” nel senso nobile del termine, se mai c’è stato: una persona che applica il ‘logos’ (il raziocinio indipendente e la parola che ne consegue) a ‘tutto’. Con l’ambizione di voler capire e interpretare la realtà aldilà della versione “sistematicamente” corretta spacciata dal Sistema. Altrimenti non ne usciamo. Popoleremo il mondo di questi giovani strepitosamente intelligenti, multilingue, ultra-preparati, iper-connessi, rincoglioniti dai masters e dagli stages che sanno tutto di come funziona una rondella della Macchina, ma non si sono mai chiesti chi l’abbia messa in moto e per quali ragioni. L’antidoto c’è e si chiama pensiero critico. Lo cerchereste invano tra le materie degli atenei tecnico-scientifici più prestigiosi.
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