Quando Zagrebelsky spiega a Renzi perché bisogna votare no al referendum dice cose talmente giuste e logiche che ti chiedi perché abbiamo dovuto scomodare il più illustre dei nostri costituzionalisti per sillabarle a un presidente del consiglio. Tra l’altro, invano. Mica lo ha capito, il nuovo padre della patria. Forse, però, stanno sbagliando strada tutti gli esseri mediamente colti e minimamente raziocinanti per i quali il voto al referendum ha una sola alternativa ovvia: il no. Essi non hanno compreso che il renzirendum non si gioca più sul tavolo costituzionale, ma su quello antropologico. Allora andiamo dal più grande antropologo del Novecento, Claude Levi-Strauss e proviamo a invertire le modalità del nostro ragionamento. Azzardiamo un approccio strutturalista, simile a quello utilizzato dal mitico Claude. Egli, nell’analizzare l’articolazione e la cultura delle società primitive, cercò di individuare la struttura sottostante (e comune) alle civiltà del mondo e riuscì a selezionare alcuni vettori condivisi da ognuna, indistintamente. Struttura significa proprio questo: un endoscheletro di carattere simbolico, inconscio, immateriale costituente il patrimonio ineliminabile di ogni tribù del pianeta, aldilà delle contingenti differenze di carattere linguistico, religioso, tradizionale. Un esempio su tutti: il tabù dell’incesto. Levi-Strauss lo localizzò come paura ancestrale e divieto normativo pre-legale proprio di ogni consesso antropico, alle più disparate latitudini. Domanda: qual è l’equivalente dell’orrore incestuoso nella post moderna società globalizzata? Risposta: la partecipazione consapevole e matura dei cittadini all’autogestione della cosa pubblica. Tutti i trend, le linee di forza, le dinamiche in essere nell’evo competitivo sono insufflate da questo postulato irrinunciabile. Verificare per credere. Prendiamo le principali caratteristiche della riforma costituzionale boscorenziana e passiamole al vaglio del suddetto tabù chiedendoci se siano o non siano in consonanza con esso. Falcidia del numero dei senatori: certo che sì; meno democrazia per tutti, meno opportunità per ognuno di noi di sperare (anche solo lontanamente) di accedere alle cadreghe delle istituzioni parlamentari. Senato non elettivo: certo che sì, come prima e più di prima, se i senatori non sono più cittadini eletti dal basso, ma consiglieri regionali o sindaci nominati dall’alto, il potere evapora dalla gente come la brina dai campi. Triplice aumento del numero di individui necessari per proporre una legge di iniziativa popolare (da cinquantamila a centocinquantamila firme): certo che sì, ossia corrispondente riduzione della possibilità del popolo di intervenire nei processi decisionali. Avocazione allo Stato delle prerogative attribuite alle regioni e agli enti locali: certo che sì; si scrive semplificazione e snellimento della macchina amministrativa, si legge fine del decentramento, delle autonomie locali, del principio di sussidiarietà. Insomma, tutto l’impianto della riforma costituzionale è dominato dal tabù della democrazia, così come gli indigeni del Borneo e della Papuasia sono dominati da quello dell’incesto. Altro non serve per capire. Tabù: mi piaci tu.
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