George Soros è un personaggio ‘dantesco’, nel senso che ha inanellato una tale sequela di peccati evidenti e ripetuti, e rivendicati, che nella Divina Commedia l’Alighieri faticherebbe a trovare un girone degno della sua ‘grandezza’: dalla speculazione micidiale ai danni del nostro Paese e della Gran Bretagna nel 1992 al finanziamento delle finte rivoluzioni colorate in qualsiasi parte del mondo dove ci fosse bisogno di spruzzare un po’ di democrazia all’americana, dal sostegno all’invasione biblica dell’Italia attraverso le famigerate organizzazioni non governative allo sdoganamento di qualsiasi precipitato ideologico della perversa filosofia della mondializzazione coatta, il vecchio George non si è fatto (e non ci ha fatto) mancare niente. Uno così, per apprezzarlo, bisogna essere patiti del genere horror oppure radicali convinti. Ma passiamo oltre e occupiamoci di un curioso pippone retorico che Soros ha pronunciato a Davos, il meeting svizzero dove si perfezionano e aggiustano le strategie ammazza-popoli che finora non hanno funzionato a dovere. Ebbene, nella sua lectio magistralis, il magnate ungherese se l’è presa di petto contro Facebook e Google in quanto sarebbero responsabili di “conseguenze negative di larga portata sul funzionamento delle democrazie, in particolare sulla sicurezza e la libertà delle elezioni”. Inoltre, esse “manipolano l’attenzione delle persone e la indirizzano verso i propri scopi commerciali, e lo fanno di proposito, cercando di creare quanta più dipendenza è possibile”. Tutte cose vere, ma così vere che sembrano la dichiarazione d’intenti di un Soros qualsiasi o di un qualsiasi altro multimiliardario come Soros. Detto altrimenti: anche i bambini sanno che i giganti del web sono mossi da biechi interessi commerciali, detengono patrimoni di proporzioni vergognose, influenzano senza ritegno gli stati del mondo, godono di vantaggi fiscali e speculano sulla finanza globale. Sembra davvero la check list delle qualità peculiari di quelli come Soros ovvero di quelle corporation transnazionali che dettano l’agenda dei lavori politici in Europa, in America e ad ogni latitudine e che poi spediscono i loro emissari in posti come Davos, Francoforte, Bruxelles a seminare i semi e a raccogliere i frutti delle loro cattivissime intenzioni. Ma allora perché Soros se l’è presa con i suoi fratelli? Perché – come tutte le imprese piene zeppe di difetti e forse addirittura diaboliche fin dal loro concepimento – anche i social network hanno dei cascami positivi sfuggiti al controllo dei controllori: costituiscono un’immensa piazza virtuale aperta a qualsiasi voce e – per ora e per lo più – non ancora soggetta a censura. Ecco perché Soros e i suoi sodali sono preoccupati. George detiene un patrimonio di otto miliardi di dollari, figurati se è contrario, in linea di principio, alla smisurata e scandalosa ricchezza di gente come Zuckerberg e Larry Page. Quello che lo fa andare giù di testa è che taluni suoi pari, pirloni anzichenò, abbiano messo in piedi dei sistemi in grado di innescare ingestibili processi popolari. Comprensibile: a quelli come lui piacciono solo i processi gestibili e antipopolari.
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