Ho sentito un dialogo tra un bimbo di sette anni e il suo papà. Il pupo dice: “Papà non invitare più Federico. È troppo piccolo e mi mette la casa a soqquadro”. “Soqquadro?” risponde il babbo: “dove hai imparato questa parola?”. E il bambino: “Me l’ha insegnata la maestra. È la sola con la doppia q”. Minchia, che bravi i bambini di oggi, ho pensato. Poi mi è venuto in mente che anche a me toccò la stessa sorte. Più o meno a quell’età, la maestra mi svelò lo stesso arcano. Soqquadro è l’unica parola del vocabolario italiano a tollerare il raddoppio di q. Dunque, soqquadro è un mistero trasmesso di scuola in scuola, di maestra in maestra, di generazione in generazione, di padre in figlio. Prima o poi, un papà dovrà confrontarsi con un figlio innocente messo a parte di un segreto perfettamente inutile. Quante volte capita di utilizzare questo sostantivo in una vita? Da uno a due, forse due è eccessivo. È un vezzo, un capriccio linguistico, una rivelazione semantica destinata a uno scaffale polveroso, per sempre. Soqquadro sopporta la doppia q. Ma a che serve? A chi serve? Quale scrittore la impiega nei suoi romanzi? Quale giornalista nei suoi articoli? Quale persona nelle sue attività quotidiane? Indovinato. Nessuno. Soqquadro è un termine superfluo, un orpello, tipo il quadretto a olio appeso in soggiorno donato dalla nonna alla prima comunione. È patetico, ma lo conserviamo, come i ninnoli di pessimo gusto di una poesia del Gozzano. Si tiene per non dispiacere i trisavoli generosi coi posteri, per una questione di affetto, per quella malattia dell’anima che induce a imbalsamare i ricordi, per vacuo rispetto: degli avi e delle tradizioni. Quante informazioni modello soqquadro teniamo in naftalina? I media sono come le nonne, tramandano foto ingiallite della realtà, del tutto pleonastiche, ma carucce da rimembrare, al pari della fatidica doppia q. Tipo le nenie ipnotiche per addormentare i bambini: news che non informano e di ‘nuovo’ hanno solo il nome, quisquilie e pinzillacchere per imbottire il cervello di q. Noi ascoltiamo, digeriamo, assimiliamo, fieri di sapere che soqquadro si scrive con la doppia. Chi tesse i fili del reale ricama le sue trame e si giova dei pisoli altrui. E il mondo, intanto, consolida le sbarre. Nessuno ci spiega il perché e il percome. Al massimo, ci descrive il quadretto, con una q, che, lasciato al suo posto, evita il soqquadro nelle nostre menti, ma manda a carte quarantotto il bisogno di senso innato degli esseri umani. La Matrice si nutre di questo senso e ci restituisce il caos in cui siamo immersi. In effetti, soqquadro non è la parola meno importante delle nostre biografie. Ne è il titolo di testa, e di coda.
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