Quando, in Consiglio dei Ministri, Renzi ha chiesto cosa si poteva fare per venire incontro alle esigenze delle banche, nessuno ha battuto ciglio. La tutela dei poteri bancari, assicurativi e della grande finanza è uno dei pochi punti fermi del programma del PD, buono a conciliare, per una volta, la maggioranza con l’opposizione interna. Però, Renzi non vuole mica far la figura del fesso in conferenza stampa, per cui ha chiesto ai suoi collaboratori meno ignoranti come si poteva giustificare un’ideuzza suggerita dalla Commissione Europea: fottere la casa al poro cristo moroso di qualche rata del mutuo. Siccome in ogni famiglia, anche nelle peggiori, c’è quello studiato, a un certo punto un portaborse laureato in legge alza la mano e propone l’istituzionalizzazione del Patto Marciano. Renzi ha storto il naso: troppo difficile, poco spendibile, parla come magna che la banca ci guadagna. Quando il premier s’è chetato, il borsista precario ha spiegato che il patto marciano ha una tradizione millenaria che risale al giureconsulto Marciano e consiste nel fatto che il creditore deluso può soddisfarsi sulla cosa venduta purché stimata al giusto prezzo. Lo ha legittimato pure la Cassazione nel maggio 2013. A questo punto, il presidente del consiglio si è illuminato come un totem dell’Unicredit: antichi romani più corte di cassazione, gliela mettiamo in saccoccia al consumatore coglione. Così è passata la regola per cui da oggi, se il mutuatario non paga sette rate (vabbe’, famo diciotto che, sennò, mi si irrita il Codacons) la banca può vendergli d’embleè la casa senza passare per il via. Renzi si è venduto la drittata come una riforma strutturale e pure epocale fatta per soddisfare i mercati e rilanciare la crescita. Se qualcuno protesta, ha ammonito i suoi, ditegli che questa qua è roba del diritto romano antico e che bisogna rispettare la sapienza giuridica su cui si fonda il nostro ordinamento positivo. Subito dopo, diciamo in queste ore, ecco il secondo round del gabinetto di salvezza nazionale coi ministri impegnati a trovare qualche altra riforma strutturale per titillare le voglie delle banche. Renzi ha proposto una scelta drastica, in linea con i tempi della apple, della rivoluzione digitale, dell’universo a banda larga: se il debitore non paga una rata, la banca si piglia la casa e se la tiene. Allora, il laureato in giurisprudenza gli ha obiettato che non si può proprio fare, che si tratterebbe di un patto commissorio vietato dall’articolo 2744 del Codice Civile sia quando è in continenti sia quando è ex intervallo. Renzi ha strabuzzato gli occhi e si è imbufalito, ha buttato giù due righe su un post it e ha ordinato al borsista di andare lui in conferenza stampa a dire che la riforma passerà. L’uomo obbedirà perché tiene famiglia, ma noi abbiamo potuto sbirciare il testo della giustificazione renziana: “Questa è una riforma strutturale e pure epocale fatta per soddisfare i mercati e rilanciare la crescita. Post scriptum del post it: se qualche fenomeno tira fuori la storia del patto commissorio, tu gli chiudi la bocca dicendo che non possiamo ancorare le speranze di futuro dei nostri figli alle smanie conservatrici dei nostri avi. Tanto più se si tratta di una norma partorita a Roma in un’epoca tarda e oscura in cui non c’era neppure un sindaco del PD”.
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