Verso l’anno Mille, il monaco benedettino Rodolfo il Glabro scrisse, a proposito della diffusione a macchia d’olio dei templi cristiani: “Si sarebbe detto che il mondo stesso si scuotesse per lasciare gli abiti della vecchiaia, e si rivestisse di un bianco mantello di chiese!”. Da una recente inchiesta di Alessandro Rico apprendiamo di un fenomeno contrario in atto, silenzioso e inarrestabile, di cui la grande stampa non dà conto: la scristianizzazione edilizia. Non delle coscienze, quindi: quello è un processo noto, cominciato con il Concilio Vaticano secondo e ormai arrivato alla fase terminale della liquidazione coatta amministrativa della gloriosa religione cattolica. Parliamo, piuttosto, della scristianizzazione sul piano architettonico, dei mattoni e del cemento, e quindi delle cose, non delle persone. Pare che, entro il 2030, siano destinate ad essere distrutte, abbandonate o riconvertite ad usi profani dalle cinque alle diecimila chiese sul solo suolo francese. Ricordate la chiesa di Saint Etienne du Rouvray dove, nel 2016, il prete Jacques Hamel fu sgozzato da un ‘martire’ mussulmano? È stata abbattuta dalle ruspe, quest’anno, per far posto a un parcheggio. In Spagna, di recente, un’altra è stata adibita a pista per skateboard, mentre in quel di Treviso l’imprenditore Benetton ha acquistato gli spazi di San Teonisto per destinarli a spettacoli ed eventi culturali. Dirà il cinico: vabbè, ci siamo persi per strada i fedeli, inevitabile che ora tocchi ai loro luoghi di culto. Può essere, ma il ragionamento non convince. Intanto, perché la decimazione statistica dei cristiani (spensieratamente proseguita sotto il pontificato del vescovo di Roma, Bergoglio) non è ancora ultimata. In secondo luogo, perché non va sottovalutata l’influenza (anche simbolica, anche immateriale, anche energetica) di quattro mura consacrate. Le chiese – come qualsiasi altro edificio sacro all’interno del quale si siano reiteratamente raccolte in preghiera moltitudini di menti e di cuori (di anime?) – rappresentano un segno, un monito, un’evocazione in grado di ‘lavorare’ e di ‘attrarre’ anche dopo che si sono (o sono state) svuotate. Alla stessa stregua dei campanili e dei pinnacoli gotici: indici puntati verso la vertiginosa abissalità del cosmo e quindi del mistero di Dio. Le chiese desertificate dei nostri giorni sono le residue casematte, la linea Maginot per così dire, della cultura cristiana, dei suoi valori, del suo messaggio. Finché le chiese restano in piedi possono ancora pulsare di luce propria, proprio come lo scintillio intermittente di un faro. Fintantoché esse resistono, allora l’Evangelo del Cristo non è tramontato ancora o del tutto, nonostante gli (involontari?) conati delle gerarchie vaticane in tal senso. Ecco perché in Europa procede, nel disinteresse interessato dei detentori della cultura di massa, la demolizione controllata del patrimonio ‘materiale’ della Chiesa. Un Progetto dichiaratamente non cristiano – fors’anche occultamente anti-cristiano – come quello da cui promana l’attuale ideologia paneuropea non può permettersi di lasciare vantaggi al nemico. Così, dopo averlo di fatto liquidato, si occupa di spazzolarne anche le ultime briciole dal tavolo.
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