Un padre mi ha inviato il modulo di consenso informato avuto in dote dalla scuola elementare frequentata dalla figlia di dieci anni. Egli dovrebbe dare il proprio benestare a un ‘Percorso di educazione alla crescita in ottica Unicef’ destinato alla ‘costruzione identitaria dei preadolescenti’ e – udite udite – alla ‘introduzione al tema del diritto all’identità, al nome e a una vita dignitosa’. Quel padre non ha dato il consenso perché è una persona matura e abbastanza fuori dagli schemi per annusare le trappole della Matrice da un miglio di distanza. La maggioranza dei suoi colleghi, per non saper né leggere nè scrivere, ha invece aderito. Perché quel mio conoscente ha fatto bene? Per una serie di ragioni ottime e abbondanti, di seguito elencate. Primo: a dieci anni un bambino è un bambino, non un preadolescente. Attribuirgli un’età diversa non lo rende automaticamente più grande. Tuttavia, l’iniziativa certifica una tendenza in atto che – anziché essere frenata – è assecondata dalle autorità preposte al benessere dei ragazzi: la loro precoce sessualizzazione, già oltremodo favorita dai media e dai social. Secondo: il percorso di educazione alla crescita è una prerogativa della famiglia e dei genitori, non della scuola. La scuola può certamente contribuire, coadiuvare, agevolare, ma deve in primo luogo istruire, non supplire le competenze altrui. Insomma, farsi tramite di informazioni e codici di lettura della realtà, non intromettersi nelle competenze esclusive dei genitori sancite persino dal nostro codice civile, all’articolo 147, laddove si legge che i coniugi hanno l’obbligo di “educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni”. Terzo: l’iniziativa è parte di un preciso percorso di mondializzazione coatta delle coscienze, di cui le varie agenzie ONU sono solerti interpreti; essa contempla il sistematico svuotamento di funzioni del nucleo comunitario più antico e tradizionale di iniziazione alla vita: la famiglia. Che la famiglia sia sotto attacco lo sanno i sassi. E la progressiva spoliazione delle sue prerogative passa anche attraverso subdoli e apparentemente innocui passaggi come quello in questione. Quarto: quel cenno al tema del ‘diritto all’identità e al nome’ trasuda ipocrisia da ogni lettera. Cosa significa diritto all’identità e al nome? L’identità non è un diritto, è un dato consustanziale all’esistenza biologica. Non la devi rivendicare e difendere, è già tua. Così pure il nome. Te lo hanno assegnato i tuoi genitori, alla nascita (rientra nei loro doveri e diritti) ed è composto di un prenome e di un cognome. A meno che… A meno che, cari miei, con quell’asettica espressione, non si punti al surrettizio ingresso nelle agende scolastiche delle cosiddette teorie di genere: quelle secondo le quali l’identità maschile e femminile non ti è assegnata dalla natura, ma la compri tu al mercato, la conquisti sul campo della vita come i gradi nell’esercito. Questo spiegherebbe il motivo, altrimenti incomprensibile, della richiesta di consenso informato a voi genitori. Sanno cosa vogliono e sono troppo infidi per ammetterlo. Ma abbastanza paraculi per chiedervi il permesso.
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