La nascita del partito Vox costituisce un interessante esperimento politico sul lato della “offerta” sovranista, per così dire: un contenitore che si proponga una piattaforma programmatica non semplicemente critica verso l’Unione europea, ma antitetica all’Unione europea. E ad essa sufficientemente ostile da costituire una speranza per tutti quelli che non si rassegnano all’idea di morire “europeizzati”. E tuttavia, il problema si pone, adesso, sul lato della “domanda” di sovranismo. Vale a dire della misura in cui il sovranismo è chiesto, desiderato, voluto – come opzione concretamente percorribile – dalla popolazione votante di questo paese. Facciamoci allora un giretto per capire in quale bacino elettorale potrebbero pescare i promotori, gli esponenti e i candidati del nuovo partito.
Muoviamo ovviamente dall’idea e dal presupposto che la neonata compagine nutra l’ambizione di andare al Governo del Paese, trasformandosi in pochi anni, e partendo da zero, in un partito di massa; la stessa magia riuscita negli anni Novanta al partito azienda di Berlusconi e, nell’ultimo decennio, alle armate grilline. Ebbene, un’analisi attenta del sentiment, e dell’anima, del “grosso” dell’elettorato italiano, ci conduce a una constatazione deprimente. I tre blocchi dominanti sono costituiti da Lega, Movimento 5 Stelle e PD. Leghisti: elettori di un partito di estrazione, e tradizione, antinazionale la cui primigenia vocazione era la secessione dall’Italia; grillini: elettori di un movimento mosso da velleità etiche più che politiche, e comunque indifferente, per non dire “freddo” proprio, rispetto all’idea di una prospettiva di orgoglioso riscatto nazionale; piddini: elettori affascinati addirittura dalla prospettiva “altro-nazionale”, cioè dall’idea di dismettere, alla buon’ora, il populistico tricolore per abbracciare una nuova nazione con capitale Bruxelles.
Come si fa a calamitare verso un progetto sovranista, cioè radicalmente e “preminentemente” italiano, persone che dall’Italia volevano addirittura staccarsi, che dell’Italia non sanno cosa farsene o che, infine, all’Italia preferiscono addirittura l’Europa? Ora, se applicassimo la legge economica di Say dovremmo concludere che – siccome l’offerta crea la domanda – la semplice offerta “sovranista” creerà la relativa domanda “patriottica”. Ma non è così, è pericoloso farsi illusioni. Il paradosso del sovranismo è proprio questo: apparentemente esso è reazionario perché fa appello alle forze della tradizione e soprattutto alla punta di lancia della triade Dio-patria-famiglia. In realtà, esso è rivoluzionario perché vorrebbe farsi largo in un contesto sociale dove la patria è morta e sepolta da un pezzo. Dovranno riesumarla dal sepolcro in cui giace, poi insufflarle un po’ di fiato, quindi rinfocolarne gli ardori, infine rianimarla nel petto di chi poi deciderà di farne una priorità assoluta sul piano politico. Parliamo di un lavoro lungo, lunghissimo. Ci vorrà tantissima pazienza, e tanti anni, e sarà – se mai riuscirà – un’impresa necessariamente, e preliminarmente, culturale. In qualche modo, ci troviamo di fronte al rovescio della famosa frase di D’Azeglio: solo una volta rifatti gli italiani, si potrà fare l’Italia.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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