C’è una parola, introdotta nel dibattito pubblico dai 5 Stelle, ma oramai sdoganata presso quasi tutte le forze politiche che va sotto il nome di “reddito” variamente declinato: reddito di dignità, reddito di cittadinanza, reddito di inclusione. In sé, l’idea sottesa non è necessariamente sbagliata ma, anche se lo fosse, è stata ripetuta allo sfinimento così tante volte da essere entrata nell’immaginario collettivo come una trovata necessariamente giusta. Al punto che persino gli arcinemici di Grillo (Renzi e Berlusconi) l’hanno fatta propria limitandosi a pitturarne il blasone con i colori delle proprie rispettive bandiere. Quello che i signori di cui sopra ignorano – tutti e tre, nessuno escluso – è che il reddito minimo garantito (comunque lo si chiami e nonostante possa apparire un provvedimento “popolare”, diciamo pure “di sinistra”) è l’esatto opposto. È un provvedimento di “destra”, intesa come area del pensiero ultraliberista oggi dominante. È noto che l’intero secolo ventesimo è stato il campo di battaglia di un gigantesco derby tra due dottrine economiche: il keynesismo e l’anti-keynesismo. Nel secondo dopoguerra, e quantomeno fino a metà degli anni settanta, non ci fu partita: aveva stravinto la strategia del grande John Maynard Keynes basata sulla costruzione di uno stato sociale determinato a fare spesa espansiva, anche a prezzo di deficit pubblico, per garantire quelle preziosissime (e ormai estinte) ottime cose di ottimo gusto chiamate, nell’ordine: sanità pubblica universale e gratuita, sistema pensionistico retributivo e accessibile a un’età decorosa, servizi collettivi adeguati, gestione pubblica della politica industriale, tutele e guarentigie per i cittadini in situazioni disagiate. La squadra avversaria, poi passata alla storia col nome di Scuola di Chicago e rappresentata dal capitano Milton Friedman, lautamente finanziata dall’establishment e dai suoi media, aveva perso quattro a zero il primo tempo. Ma si è abbondantemente rifatta nel secondo (diciamo dalla metà dei settanta ad oggi) finendo non solo per dominare l’incontro, ma addirittura per annichilire i contraddittori convertendo al proprio cinismo antisociale prima Gran Bretagna e Usa e poi, tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, l’Europa occidentale e il mondo intero. Le ricette di Friedman & company sono note: controllo ossessivo della spesa pubblica “improduttiva” (cioè sociale), ferrea disciplina nell’emissione monetaria e nel freno dell’inflazione, pareggio di bilancio, decostruzione del welfare state, deregulation spinta, privatizzazioni a manetta, culto della “ripresa”. E il reddito di cittadinanza che c’azzecca in tutto ciò? C’azzecca eccome perché (nella logica dell’ultraliberismo di cui i nostri politici sono inconsapevoli pedine) esso è la vaselina con cui lubrificare la supposta: tolto ai poveri tutto il resto (ciò che essi avevano gratis quando del reddito di cittadinanza nessuno sentiva il bisogno), gli lasciano il reddito di cittadinanza, cioè la mancetta del week end. Così anche Cenerentola può fare acquisti e rilanciare la crescita. Si scrive reddito di cittadinanza. Si legge reddito di sudditanza.
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