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RANDELLINO

RANDELLIHa fatto scalpore un tweet dell’intellettuale Rondolino, già lothar del mitico premier Massimo D’Alema, che ha così commentato le manifestazioni blocca-traffico dei prof romani anti-Renzi: “Ma perché la polizia non riempie di botte ‘sti insegnanti e libera il centro storico di Roma?”. Ora, a turbare non è tanto il fatto che il nostro abbia militato in gioventù nella FGCI e sia stato cronista dell’Unità e consigliori di Baffino, che abbia cioè un pedigree di sinistra. In fondo, di compagni, o ex tali, convertitisi alle virtù taumaturgiche del manganello è pieno l’orbe terracqueo. Quello che andrebbe valorizzato del grido di dolore rondoliniano è piuttosto la concezione bizzarra che costui, e suoi consimili, hanno della categoria della protesta. Rememeber: Chi protesta lo fa per rompere gli schemi, il sistema, le palle in definitiva, al prossimo. La protesta è, per definizione, un atto sfrontato di ribellione che deve necessariamente condurre a un ‘disagio’. L’uomo medio, l’assonnato, l’insipiente, diciamo il borghese dei bei tempi andati (quando molti antichi compagni di strada di Rondolino teorizzavano la demolizione delle sovrastrutture capitalistiche) deve pur patire un qualche malessere se l’obiettivo è quello di svegliarlo dallo stato di catalessi che gli inibisce di vedere e denunciare le storture della matrice. Oggi, però, il concetto è cambiato. Oggi molti intellettuali, soprattutto di sinistra o di ascendenza sinistra, queste prove di forza non le tollerano più: il dissenso è ben accetto solo se irregimentato, edulcorato, ricondotto a un tenue bisbiglio che gli dia diritto di esistere, ma non incrini la quiete e l’equilibrio delle cose. Insomma, protestare okay, ma in punta di forchetta, col tutù, senza spaccare i timpani ai Signori e senza ritardare il loro sereno approdo all’ufficio, la mattina. Singolare che questa rivisitazione in chiave minore della critica provenga spesso da soggetti che, in gioventù, non si sono fatti mancare niente, quanto a disturbo dell’ordine pubblico. Loro, però, hanno diritto di aver fatto le cazzate da bad boys, mentre i nuovi insoddisfatti no, non possono. Se ne stessero chieti, che magari gli diamo una riserva indiana, che ne so, un parco pubblico presidiato, una palestra abbandonata, un capannone in disuso. Lì potranno, distanti dal centro, come i Cimiteri odiati dal Foscolo, imbastire un’orchestra di invettive, lanciare palline di carta, urlare a turno la loro insofferenza. Ma non rompessero i coglioni ai buoni e bravi cittadini della Nazione che hanno da produrre e lavorare e crear valore per la Crescita. Ecco l’estetica del rivoluzionario del’Evo Decadente che fa a pugni con la logica e la tradizione di chiunque abbia mai osato sfidare il Potere, dai Gracchi in qua: dissentite, ma piano, contrastate, ma sottovoce, dispiacetevi, ma col silenziatore. Altrimenti vi mandano la Celere e saranno mazzate.

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