Il Capo dello Stato Mattarella ha rilasciato una dichiarazione di sconcertante profondità affermando che “sono necessarie strutture comuni per rafforzare regole comuni” e che, di fronte all’emergenza immigrazione, “occorre anzitutto più Europa, maggiore integrazione anche su temi sensibili”. Ammappete oh, che alzata d’ingegno. Questa non l’ho mai sentita o forse sì, ma poche volte. Speta che penso. Ce l’ho sulla punta della lingua, ma non mi viene in mente. Fatemi riflettere. Dunque: ci vuole più Europa, ci vuole più Europa, ci vuole più Europa, dove cacchio l’ho ascoltata? Niente da fare, per quanto mi sforzi non mi viene. Eppure, il suggerimento è geniale. Da quando siamo entrati nell’euro abbiamo avuto, nell’ordine, più crisi, più disoccupazione, più deficit, più debito pubblico, più sprechi, più guerre alle porte di casa, più disagi sociali, più italiani sotto la soglia della povertà. Quindi, per l’applicazione ferrea di una inappuntabile logica dei processi del divenire storico, cosa ci vuole, adesso, per risolvere almeno una parte di questi dannati casini? Aspetta che non mi viene, ce l’ho sulla punta della lingua, dov’è che l’ho già sentita. Ah, ecco, giusto, scusate, questione di un’amnesia momentanea. Ci vuole più Europa, che scemo che sono. Intanto che rimuginavo sul monito presidenziale, un altro presidente, un presidente al quadrato, si profila all’orizzonte. Giorgio Napolitano dice che boicottare un referendum è un modo per esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria. Di nuovo un irresistibile prurito, un’orticaria di deja vu che mi dà il tormento. Dov’è che l’ho già sentita, ce l’ho sulla punta della lingua, ma niente. Speta che penso. Sarà mica stato Craxi nei favolosi ottanta? Poco importa. Stremato dallo sforzo, mi appisolo convinto che, tra i due cablogrammi presidenziali, ci sia un nesso che sfugge, un idem sentire che lega, ma niente da fare. Ronfa che ti ronfa, a un certo punto mi appare in sogno Jean Francois Lyotard con una palla di vetro e mi intima di guardarci dentro: ci vedo una legge elettorale da far invidia a quella Acerbo del ventitre, ci vedo l’abolizione del Senato della Repubblica e ci vedo un sacco di altre perline, galleggianti in un gorgo ribollente di spuma e di eventi apparentemente casuali, ma collegate dal filo di una sola narrazione. E poi ci vedo un super presidente della repubblica bicefalo, con due volti sempre più simili che si sovrappongono fino a diventare uno solo. E Lyotard mi dice: vedi, vedi? Una faccia, una razza. E io gli chiedo una lettura chiarificatrice delle parole appena ascoltate dai vertici supremi, presenti e passati, dello stato cui appartengo. Lui traccia una scritta sulla palla di vetro e mi invita a meditarci sopra: sono tutti modi post moderni per dire la stessa roba; prendila con filosofia, ci vuole meno democrazia.
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