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Si è sparsa la voce di una prossima ricollocazione attiva della Chiesa in politica con la benedizione di un nascituro partito. Niente di male, beninteso. La Chiesa, come noto, ha sempre giocato un ruolo da protagonista nella politica italiana. E tuttavia lo ha fatto sulla base di un richiamo alla sua dottrina sociale che si posizionava, come sapiente terza via, tra le formule del liberismo capitalista e quelle del collettivismo socialista. Poi, grossomodo all’inizio degli anni Novanta, con l’implosione della DC, l’impegno ufficiale delle alte gerarchie del clero si è fatto felpato, tramutandosi in una presenza più discreta e meno visibile, anche se parimenti attenta alla tutela dei propri interessi e valori. Ebbene, stando al manifesto pubblicato sulla rivista dei gesuiti, ‘Civiltà Cattolica’, i tre capisaldi del nuovo movimento dovrebbero essere: l’accoglienza, la lotta ai populismi, l’europeismo. Avete capito bene, e c’è poco da scherzare. In pratica, le stelle polari del cattolicesimo progressista a venire saranno proprio i comandamenti del mondialismo tardocapitalista con le cui malefatte i cristiani odierni debbono quotidianamente confrontarsi. È la quintessenza dell’agenda politica di Soros, diciamo: 1) la promozione delle migrazioni di massa che l’attuale sistema economico asseconda, quando non stimola, al fine di un più compiuto sfruttamento della manovalanza servile; 2) la presa di distanza dalle uniche forze, quelle cosiddette populiste, ancora in grado di frenare l’ascesa del modello di dominio autocratico della finanza mondiale sui simulacri delle residue sovranità statuali (per inciso: contro le società di capitali anonime, prevalenti sugli stati, si era invece pronunciato senza riserve, nell’enciclica Quadragesimo anno del 1931, Papa Pio XI); 3) la diffusione della nuova ideologia europeista e della sua sottostruttura economica basata sui parametri criminali dell’austerity e sulla subornazione incostituzionale della Repubblica italiana al famoso vincolo esterno; quel marchingegno, per intenderci, meticolosamente concepito a salvaguardia del feticcio della stabilità dei prezzi a qualsiasi costo (di disoccupazione) necessario. Laddove, nell’enciclica Centesimus Annus, del 1991, Papa Giovanni Paolo II chiedeva di sviluppare politiche pubbliche per il pieno impiego e la sicurezza del lavoro. A questo punto, le ipotesi sono due: o i promotori dell’iniziativa non sanno come stanno le cose e sbagliano in buonafede non avendo compreso in cosa consista la grande partita in atto, quali ne siano gli attori e quale la posta in gioco. Oppure lo sanno benissimo. Nel primo caso – francamente poco plausibile: stiamo parlando della bimillenaria Santa Romana Chiesa Cattolica! – sarebbe solo un problema di ignoranza. La Chiesa, in altri termini, lavorerebbe a sua insaputa per il Re di Prussia, e cioè proprio a beneficio di quelle forze anticristiane che la sua dottrina sociale (dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Populorum Progressio di Paolo VI alle altre succitate encicliche) ha sempre severamente avversato. Nel secondo caso – assai più credibile per le stesse ragioni che deponevano a sfavore del primo – ci troveremmo di fronte a una lucida scelta di campo. Il che significherebbe il premeditato tradimento della tradizionale vocazione umanistica e popolare dell’impegno cattolico in politica. L’idea ci ripugna, ma non ci appare inverosimile, regnante un papa per il quale è meglio essere atei che cristiani.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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