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PICCOLO ABBECEDARIO DELL’IMBECILLITÀ

abbecedarioC’è un curioso fenomeno in atto costituito da due direttrici di pari intensità, ma di segno opposto. La prima è la progressiva complessificazione del reale: ogni giorno che passa, ogni cosa, sia a livello macro che micro, diventa più complicata da fare, da gestire e da capire. La seconda è la decrescita esponenziale di risorse intellettuali, cioè di lucidi pensatori in grado di comprendere e farci comprendere la realtà che cambia, coloro che un tempo, a buon diritto, si fregiavano della nomea di intellettuali.

Salvo lodevoli eccezioni, l’opinionista due punto zero è, ben che vada, un ripetitore di bullshit (stronzate) o, mal che vada, un valvassore di poteri terzi e nascosti di cui canta le gesta e segue ed esegue i comandi, il primo dei quali è impedire alla massa di orientarsi. A tal fine, è stata incoraggiata la diffusione di un linguaggio tanzaniano, inespressivo, astratto, povero di lemmi e disossato di contenuti. Urge quindi un abbecedario portatile per decifrare i codici comunicativi di coloro che, dalle prime file del monopartito di regime o  dalle terze pagine dei giornaloni nazionali, fungono da quinte colonne del sistema. Il lessico dei tempi della Crisi è composto da una manciata di parole chiave, fattori diversamente assemblati, a seconda delle circostanze, per restituire, però, sempre lo stesso prodotto. Una sorta di cubo di Rubik per ritardati linguistici in cui le combinazioni infinite servono solo a occultare l’infinita genericità dei concetti. Ciò si traduce, nella prassi, in conseguenze facilmente verificabili: i capi bastone del monopartito ci parlano dai pastoni del telegiornale come se fossimo una platea di minorati: scan-di-sco-no-le-lo-ro-vac-ca-te-a-boc-ca-spa-lan-ca-ta perche i geniali spin doctor che li ispirano sono convinti che non si debba puntare a implementare le conoscenze dei cittadini, ma piuttosto ad abbassare quelle già mignon dei loro rappresentanti. Nel contempo, gli elzeviri dei padri della patria giornalistica, gli interventi degli economisti della razza padrona, i suggerimenti degli accademici di rango, sono solo variazioni estetiche messe insieme col vocabolario infantile della società globalizzata. Non approfondiscono mai perché, se anche potessero farlo (e molti non possono per congenite carenze cerebrali), non vorrebbero farlo e perché se anche volessero farlo non si troverebbero ad occupare le cadreghe di prestigio che la Direzione gli lascia scaldare. Ma veniamo al dunque e cioè all’abbecedario dell’imbecillità, un umile tentativo di spiegare quali significati si celino sotto le quattro parole in croce con cui quotidianamente ci mettono in croce. Andiamo in ordine alfabetico. Articolo 18: lo vogliono cancellare anche se, contemporaneamente, vanno predicando che è un totem, un tabù, un orpello che non serve a nessuno. C’è un’obiezione logica e quindi sistematicamente evitata dalle migliori menti del bigoncio: se è un falso problema e conta quanto il due di picche perché dannarsi ad abolirlo? Detta in sintesi, vogliono permettere ai grandi gruppi multinazionali riottosi a investire in Italia di muoversi con meno impicci, di licenziare ad cazzum (cioè senza giustificazione alcuna), di fare insomma a capocchia. Altrimenti detto, noi vi diamo in pasto la dignità e la sicurezza dei poveri cristi, voi venite qua e assumete i nuovi schiavi. Senza impegno, eh! Fate come se foste a casa vostra. D’altra parte, di investimenti foresti abbiamo bisogno come il pane perché siamo ormai uno stato cui è inibito fare politiche di crescita e di spesa (quindi un Non-stato, di fatto una o.n.g., una organizzazione non governativa, che non può governare perché non deve governare). B.c.e.: la banca centrale è il motore immobile della crisi, ha tutto il potere o, comunque, tutto e solo quello che vale, in primis decidere se e quando produrre valore. Si compone di signori ‘indipendenti’, cioè non votati da nessuno, che si riuniscono in consessi ‘riservati’, cioè non controllati da nessuno, dove decidono ‘discrezionalmente’, cioè senza rispondere a nessuno, se non alle big bank private nascoste dietro il paravento delle banche nazionali che ‘partecipano’ pro quota la Bce medesima. Di fatto, sono i guardiani della Soglia, oltre la quale fermenta il Mistero meglio custodito dei nostri tempi, altro che Fatima, su cui i Grandi Puffi dell’informazione non mettono mai becco: la scaturigine del denaro. Crescita: una delle tre persone della trinità (crescita, pareggio di bilancio, riforme) venerate da tutte le più alte cariche delle istituzioni nazionali e comunitarie (quelle ex comuniste ci mettono il surplus di zelo proprio dei convertiti). Significa che, se vogliamo esistere come comunità, dobbiamo ingozzarci tipo i maiali e non smettere mai di consumare, ogni anno un po’ più di quello precedente. Cosa succederebbe se tutti i paesi del mondo ‘crescessero’ al ritmo del 5%? Un bambino di quinta, se gli insegnassero l’economia, si porrebbe la domanda, ma l’elementare quesito resterebbe comunque troppo difficile per i mediatori linguistici della Società dei Consumi. Loro non si dolgono affatto di essere approdati a un modello di convivenza civile che non si regge su concetti obsoleti come Patria, Partito, Nazione, Classe, Movimento, ma sul semplice e animale atto del digerire cose. Dalla retta democrazia alla democrazia del retto. Debito pubblico (e Pareggio di bilancio): vanno insieme come Gianni e Pinotto e si traducono nel precetto per cui lo stato deve funzionare come una società per azioni: tanto incassi e tanto spendi, quindi anatema del Debito, culto del Fisco e dogma dei Tagli di Spesa. Trascurando il dettaglio che fa la differenza:  lo stato non è un Mercante, ma un Re che le risorse non le va a guadagnare alla fiera dell’Est, ma se le crea. Insomma il celebrato pareggio di bilancio è una cagata pazzesca ma, in un mondo di matti, l’hanno pure messo in costituzione, nero su bianco. Cosi, oggi l’Italia è una paese fondato sulla partita doppia. Deficit: concetto vassallo del precedente. Se tu, Stato sedicente sovrano, spendi più di ciò che incassi, sei letteralmente ‘deficiente’, quindi o spolpi un po’ di più i tuoi cittadini oppure vai dagli usurai ed elemosini quattrini. Qui è d’uopo un link con la voce ‘B.c.e.’ che dà le sue figurine Panini (dette euro) alle banche private quasi gratis e agli stati a un prezzo seicento volte superiore. Se vi chiedete perché vi beccate dei complottisti. Mercati: sono il convitato di pietra, il volto senza nome, il Signore degli anelli, insomma coloro che, non visti, tutto vedono. Il sostantivo plurale designa un’entità che ha molti requisiti tipici delle divinità monoteiste: i mercati sono informi, immateriali, non raffigurabili, onnipotenti. In pratica, si riducono a un manipolo di mega speculatori transnazionali che, utilizzando software e algoritmi avveniristici miscelati con singolare istinto predatorio, tengono per le palle gli stati, creano le crisi, etero dirigono le agenzie di rating, fanno cadere i governi e tolgono il sonno ai direttori della Grande Stampa. In genere, se i mercati sussultano in su o in giù, l’indomani i giornali guaiscono con titoli ammonitori (tipo: ‘i mercati puniscono o tremano o crollano’), od orgasmici (‘euforia dei mercati’, ‘le borse trascinano’) o terroristici (‘bruciati mille fanta miliardi’ è il più gettonato). Privatizzazioni: termine pronunciato con rispetto e declinato sempre al positivo. Sono la medicina che spetta in sorte agli stati che si ostinano a voler vincere (cioè recuperare la sovranità perduta) anziché pareggiare (il bilancio). Il bugiardino dell’elisir in questione, però, fa rima con perdere: aziende di stato, immobili, acqua pubblica, tutto. Tutto deve essere ceduto in mano privata sia perché il privato funziona sia perché così potranno farvi pagare ciò che ora avete sine pecunia e affittarvi ciò di cui ora siete comproprietari (in quanto cittadini). I governi europei sono al servizio di chi ha la grana per comprare i beni in vendita per fare cassa, risanare i conti, pareggiare il bilancio. Come vedete tutto torna, alla fine, nelle tasche dei soliti ignoti perché tutto è inquinato, da principio, dalle bufale dei soliti idioti. Ripresa: per i custodi del baraccone è simile all’acqua per i moribondi, vale a dire indispensabile. Ma non arriva mai, come Godot, perché le politiche in grado di favorirla sono esattamente quelle che I sadomasochisti del rigoren cermanico non vogliono attuare. Riforme strutturali: ecco il babbo natale dei paperoni. Nessuno le ha mai viste, ma tutti sanno che sono buone. Quando vedete un qualsiasi politicante in tivù disquisire della crisi, iniziate a contare. Prima di arrivare a dieci lui avrà detto le due paroline magiche, ma non specificherà mai in cosa consistono perche altrimenti la gente prenderebbe i forconi e lo inseguirebbe per strada. Più o meno, infatti, le riforme strutturali consistono in strutturali (alias definitive) destrutturazioni dei diritti acquisiti: riduzione di pensioni, eliminazioni di garanzie ai lavoratori, snellimento dello stato sociale, dimagrimento del welfare, fine della sanità pubblica, tagli della spesa-pubblica-improduttiva. Altrimenti detto, ci spogliano di quello che finora abbiamo avuto gratis per consentire alle corporations di farci un business. Renzismo: è l’ultima frontiera del sistema. Con l’applicazione delle più sofisticate tecniche di ingegneria comunicativa e di psicologia della persuasione, cercano di vendervi, riverniciate a nuovo, tutte le sole di cui sopra. Un aspetto interessante del renzismo: i suoi creatori non si rendono conto che, alla lunga, fa ridere e diventa caricaturale. Le battute stile Neal-Armstron-quando-sbarcò- sulla-luna vanno bene una volta in un secolo (e ti regalano l’immortalità). Renzi ce ne propina una al dì. Somiglia al calendario di Frate Indovino: lì, ogni giorno, una pillola di saggezza contadina, qui un calembour o una frase epocale. Per finire, Zoff: che c’entra il più grande portiere italiano di sempre, in questo abbecedario? C’entra eccome, perché se vogliamo salvare la borsa (la nostra) e (soprattutto) la vita dobbiamo imparare l’ABC della manipolazione, cioè diventare portieri del nostro cervello e respingere in ogni modo i tiri mancini con cui ce lo vogliono plasmare.

Francesco Carraro

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