Sto leggendo una pregevole e ricchissima silloge degli scritti e dei pensieri di Pier Paolo Pasolini curata dalla rivista ‘L’Espresso’ e ci sono un paio di considerazioni a cui è impossibile sottrarsi. Intanto, l’impressione che Pasolini sia un intellettuale la cui figura è destinata a ingigantirsi quanto più la nostra storia si inoltrerà nel bosco della perdizione. PPP aveva visto giusto, ma soprattutto aveva visto con sconcertante anticipo le direttrici ineluttabili dei suoi tempi, destinate a inverarsi nelle divinità dei nostri. Nelle sue battaglie apparentemente di retroguardia contro la televisione, la società di massa, il consumismo esasperato, la venerazione dei mercati c’era un sovrappiù di avvenire, di sensibilità futurista, che manca in quasi tutti gli altri opinionisti dell’epoca. Pasolini aveva percepito che i tradizionali fronti antitetici attraverso i quali la realtà veniva filtrata, letta e interpretata (all’interno dei quali, pure, egli si è ostinato fino alla fine a schierarsi, nominalmente nel battaglione ‘progressista’) si stavano liquefacendo. Le guerre dei bottoni tra i comunisti e gli anticomunisti, tra il capitalismo e i suoi avversari, tra gli operai e i padroni, erano, per l’appunto, solo cimenti fittizi combattuti su frontiere di cartongesso in via di disfacimento, un tocco alla volta. Pasolini ha intravisto, aldilà delle cortine fumogene delle ideologie alla moda, il Mondo Nuovo alle porte, quello dove un unico, magmatico, onnivoro Mercato di merci, corpi e informazione avrebbe definitivamente seppellito le specificità personali, le tradizioni popolari, le unicità eccentriche di estrazione rurale e pre industriale. Pasolini aveva capito tutto, persino che la sua era una lotta senza speranza perché il mostro contro cui combatteva era dotato di tentacoli troppo pervasivi per essere distrutti. Dopodiché, fanno tenerezza quei suoi editoriali e quelle interviste in cui il nostro si esprime con un linguaggio arcaico, ideologicamente arcaico, fatto di espressioni fossili come ‘lotta operaia’, ‘borghesia’, ‘classi’. Sono tutti paradigmi triturati dalla storia che oggi neppure il pensatore più anticonformista si sognerebbe di riesumare. Ecco la contraddizione scandalosa di Pasolini: che è tremendamente superato nelle forme e nello stile quanto è terribilmente avanti nella sostanza e nei contenuti. Eppure, non c’è dubbio che oggi, egli avrebbe milioni di nuovi argomenti per poter dire: ‘ve l’avevo detto’. E per dirlo, magari, a tutta la marea di suoi ‘compagni’ di merende intellettuali che, all’epoca, stavano dalla parte del più forte, senza capire perché, e oggi continuano a stare dalla parte del più forte, sempre senza capire perché. Pasolini, a ben vedere, non era anti-moderno. Era ultra-moderno. E proprio in questo risiede la sua micidiale modernità.
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