Sono stato nell’ufficio sinistri di una compagnia di assicurazioni. Sono spariti i muri. Tutti i funzionari liquidatori incaricati della gestione delle pratiche lavorano in una sorta di loft, un campo di concentramento di risorse umane spaziosissimo, attrezzatissimo, luminosissimo, ma senza muri. Solo tramezzi alti un metro e sessanta da terra, magari vitrei, a dividere una postazione dall’altra. E anche un mega tavolone ovale attorno al quale si raduna la tribù dei dipendenti per sbrigare faccende, evadere corrispondenza, parlare al telefono, scrivere, pensare. Si parla tutti insieme, si scrive tutti insieme, si pensa tutti insieme. Domando, sconfortato: perché? Un dirigente di vecchia data e di lungo pelo sullo stomaco mi risponde che ora usa così, che i responsabili della formazione delle sfere alte odiano le stanze chiuse, soprattutto singole, dove c’è poca circolazione delle idee, poco brainstorming. Annuisco e intuisco, nell’uomo, il rammarico, la piccola vergogna di essere stato privato di uno spazio tutto suo dove poter esercitare una micro sovranità individuale. Roba d’altri tempi, andati. Lui è rassegnato perché tanto, tra poco, se Dio vuole, va in pensione. I colleghi giovani sono rassegnati perché tanto, se protestano, li fanno fuori con una sciabolata di job’s act. E poi se lo prescrivono quelli della formazione ci sarà un motivo: brainstorming, open space, to win to win. Sticazzi. Ma quelli della formazione mica la sanno la ragione vera perché, come molti componenti della Macchina, non sono addestrati a riflettere sulle cose, ma a riflettere le cose così come le hanno pensate i piani alti. In fondo, è uno scenario già visto in mille film americani. Le peggio robe le testano lì prima di introdurle qui: sconfinate distese di uffici senza stanze, un brulichio di corpi indaffarati e, soprattutto auto-osservantisi. Tutti devono sapere tutto ciò che fanno tutti gli altri. Il controllo non è più demandato tanto, o solo, all’occhio freddo delle telecamere (che, pure, spuntano come finferle da ogni dove), ma anche e soprattutto a quello frustrato del compagno di sventura. L’occhio che ti osserva è un occhio vivo, è l’occhio di uno chiamato come te a produrre dentro le mura, inesistenti, dell’ufficio e a consumare fuori. Questo sistema inibisce alla radice ogni conato di volontà autonoma, di intimità indipendente, di pensiero eccentrico. Nelle trincee trasparenti non vi è gesto che non sia notato, o notabile, da chiunque. Anche da chi vorrebbe evitare di essere guardato e, nell’impossibilità di godere di tale benefit, guarda storto chiunque non marci in riga nei solchi tracciati. Ovviamente, ci saranno le eccezioni, la creatività umana è sempre più furba e meno idiota di un manuale di management aziendale, ma si estingueranno strada facendo. E intanto i muri continueranno a venire giù e i tramezzi a farsi più trasparenti e le finferle più grosse. Non solo negli uffici di un’assicurazione, anche in quelli delle banche e di ogni altra realtà aziendale. In fondo, c’è un antecedente illustre, ovviamente ignorato dagli esperti di risorse umane perché risalente a prima degli anni zero. Jeremy Bentham, filosofo inglese tra sette e ottocento, inventò il cosiddetto Panopticon, un edificio cilindrico che consente al manovratore e gestore centrale di controllare tutti i residenti periferici, all’insaputa di questi. Fico questo progetto, così trendy, così avanti, direbbe uno human resource developer manager. Pirla, era una prigione.
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