Che le banche stiano immensamente a cuore ai governi lo avevamo capito dopo la crisi del 2008 quando una marea di istituti di credito che avevano speculato sulla (e con la) finanza creativa vennero salvati dagli Stati attraverso massicce iniezioni di liquidità. L’effetto fu micidiale per le casse pubbliche di diversi paesi e si tradusse in un vertiginoso aumento dei debiti pubblici nell’eurozona e anche altrove. Poi, i media ‘indipendenti’ (spesso partecipati dallo stesso azionariato che controlla banche e finanza d’assalto) e i loro fini commentatori si affannarono a spiegare che era giusto così, che le banche erano ‘too big to fail‘ cioè troppo grandi per fallire e mettere sul lastrico i risparmi di una vita di nonna Abelarda. Poco importa che i banksters avessero utilizzato quegli stessi risparmi non con la prudenza di una cassa peota strapaesana, ma con l’indifferente e temerario slancio di un abituè dei casino. Sta di fatto che si ottennero i classici due piccioni con una fava: da un lato salvare le chiappe agli speculatori e dall’altro scaricare le colpe per l’esplosione del debito pubblico sugli stati spendaccioni. Oggi, però, c’è una novità che farà giustizia e metterà le cose a posto. Si chiama bail in e l’hanno sperimentata in Austria con la Hypo Alpe Adria. In pratica, significa che, se hai dei soldi depositati in una bad bank e questa fa crack, non te li ridanno indietro, ma li usano per colmare il buco. Insomma, mentre finora tra penalizzare la collettività o la banca speculatrice d’azzardo sceglievano sistematicamente la prima che ho detto, ora tra penalizzare la banca speculatrice d’azzardo e nonna Abelarda, sceglieranno sistematicamente la seconda. Come a dire che cambiando l’ordine dei fattori il beneficiario non cambia. Mai.
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