A volte ci sono degli eventi totalmente slegati da altri eppure connessi ai primi da un filo invisibile così tenace ed auto-evidente da imporsi all’attenzione e da meritare un richiamo. Parliamo di fatti impregnati di allegoria, che quindi parlano di altro rispetto a ciò che, a prima vista, ci dicono. Sono avvenimenti simbolici che gli antichi connotavano alla stregua di presagi, fausti o funesti. Quindi, le generazioni dei tempi remoti – imbevute com’erano di timor di Dio e di sacra vertigine – decrittavano nelle fatalità i codici di sventure di là da venire o di trionfi alle viste. Tipo gli avvoltoi apparsi in volo a Romolo e Remo che costarono la vita al secondo e regalarono un impero a Roma. Noi, nell’epoca più scolarizzata e secolarizzata di sempre, non abbiamo più il potere e neppure la facoltà di assegnare un senso altro alle epifanie della natura, della storia e della cronaca. Per dire: se cade un fulmine sul cupolone di San Pietro il giorno dell’elezione del papa, è ovvio che non significa nulla se non un eccesso di carica elettrostatica occasionalmente in tensione sui cieli vaticani. Eppure, i giornali quella foto l’hanno pubblicata, giustamente, per la sua potenza immaginifica gravida di prospettive. Insomma, una parte di noi seguita imperterrita a cogliere nessi invisibili nelle sincronie universali e, sotto sotto, a crederci. Quindi, certe volte è divertente provarci di proposito, immaginare, per esempio, che la rovina di un manufatto sia l’abbrivio di un’età migliore. Prendete il Mose di Venezia. Notizia di ier l’altro: una delle opere più ciclopiche partorite dal genio italico (al netto di tangenti e affini), costruite per proteggere Venezia dalle mareggiate, sta collassando su se stessa, come certificano i quotidiani: “La corrosione della ruggine ora segna questa impresa idraulica che ha fermato la mano dell’uomo e della scienza, scombinato il già precario funzionamento dell’alzata e della chiusura delle paratoie, riducendo le aspettative della difesa di Venezia e del suo ecosistema dalle alte maree”. Ora pensate all’alta marea popolare che preme su diversi avamposti dati per pacificamente acquisiti dall’Impero attuale. Per quanto si tratti di sussulti caotici e sghembi, spesso sotto forma di testate contro il muro date in alternativa a un lancio dal sesto piano, gli esiti elettorali della Brexit e delle elezioni USA sono crepe inattese nelle paratie a tenuta stagna della Matrice. La gabbia di trattati e di burocrazia a-democratica, eretta tutta attorno a noi, scricchiola per la ruggine. L’alta marea dell’indignazione populista e popolare monta alle porte del Mose globale. All’orizzonte c’è un altro referendum (piccolino, italiano, ma – in un mondo iper connesso – inesorabilmente connesso a ogni altra consultazione) e ci intriga da matti un’idea: che la vittoria dei NO possa costituire un’onda corrosiva di marea sulle giunture di una macchina arrugginita. Dai, forse non tutti i giochi sono fatti, forse ci sono strani presagi nell’aria. A patto di ricordarsi che noi siamo la ruggine. E anche l’alta marea.
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