Correva l’anno millenovecento quando morì Friedrich Nietzsche. Data rotonda e simbolica che segnò la fine di uno dei più conosciuti e controversi filosofi di ogni tempo e l’inizio di un’epoca destinata a inverarne molte delle profezie. Proprio Nietzsche ci può aiutare a rileggere la storia recente per cercare di coglierne il senso e provare a decifrarne gli sviluppi. Il suo pensiero, in effetti, è contaminato da un germe contaminante condiviso dalle due forze ideologicamente debordanti del ventunesimo secolo: il fanatismo omicida di ispirazione islamica, da una parte, e il finanzio-capitalismo tecnologico e tecnocratico dall’altra. Il germe in questione ha un nome (violenza) e una pluralità di declinazioni (fisica, psicologica, culturale, sociale, politica e religiosa) contrassegnate da un minimo comun denominatore: l’eccesso perpetrato con la forza. La terminazione della parola violento è proprio ulentus che, in latino, indica il troppo, l’esagerato, lo spropositato. Aggettivi perfettamente calzanti per descrivere sia il micidiale fuoco di fila di attentati cui è sottoposta l’Europa da qualche anno, sia l’inesorabile progredire della crisi economica nei relativi territori e nelle vite dei suoi cittadini. E dunque, quando affermiamo che l’ingrediente condiviso dalla filosofia di Nietzsche e dai due paradigmi di pensiero e d’azione oggi predominanti è la violenza, intendiamo proprio l’applicazione dell’eccesso per consolidare un signoraggio brutale sul mondo e sull’uomo. In questo senso, ma solo in questo senso, nell’aver cioè sdoganato la violenza come metodo giusto, come forma bella, come approccio auspicabile del vivere, Nietzsche ha anticipato i nostri giorni. Se violento era il suo grido di battaglia, la ballata di Zarathustra, violenta è anche la matrice economico finanziaria oggi universalmente accettata come unico e consentito codice d’accesso ai rapporti tra gli individui e gli stati, e pure violenta è la furia omicida-suicida del terrorismo mussulmano. Quando Nietzsche affermava di non essere un uomo, ma una dinamite, impiegava una metafora prodigiosamente premonitrice senza sapere che essa si sarebbe trasformata nel canto del gallo di un mondo diverso: il nostro. Laddove uomini imbottiti di vera dinamite si fanno esplodere per trascinare con sé quante più vittime possibili nel pozzo buio e inesplorato della morte. Ergo, l’urlo di Nietzsche fu divinatorio, ultra-vide ben oltre i lustri, i decenni e persino i secoli e la sua foga demiurgica, levatrice di una tetra civiltà, trova oggi compiuta consonanza con la virulenza sfrenata ed eccessiva del presente. Poi ci sono le differenze. Nietzsche è vitalismo orgiastico + violenza, l’attuale sistema di produzione, generazione e distribuzione delle risorse è razionalità tecnologica + violenza, la barbuta masnada di turbanti neri vogliosi di instaurare un califfato universale è irrazionalità teologica + violenza. Il pensatore tedesco auspicava, anzi nutriva l’incrollabile certezza, che fosse di là da venire un nuovo uomo, un oltre uomo caratterizzato da un amore smisurato per la vita e per il suo ammaliante e spaventevole mistero, capace di suggere senza inibizioni metafisiche, spirituali, ideologiche, la materialità succosa e afrodisiaca dell’essere. Il suo modello di essere umano avrebbe saputo compromettersi con l’esistenza in una misura smisurata, dionisiaca, titanica, incurante della sorte e della fine dei deboli, dei succubi, dei servi cui andava applicata, appunto, la violenta prepotenza del più forte. Il nostro non poteva immaginare che l’umanità sarebbe invece approdata alle sponde odierne dove l’energia compulsiva di cui Friedrich accreditava l’uomo futuro sarebbe stata fatta propria da una macchina inumana: quella della produzione bulimica di merci smerciabili solo a prezzo di una perversa erosione dei diritti di chi quelle merci produce; quella della distruzione meticolosa e incontrollata delle classi medie; quella di una proliferazione di ricchezze virtuali (e quindi inesistenti) scambiate su piazze digitali. Tutto al solo scopo di beneficiare in modo smodato e sproporzionatamente iniquo il vertice della piramide, affamando la base e proletarizzando persino i suoi mattoni intermedi. E ciò attraverso il dispiegamento di una chirurgica razionalità alimentata da intelligenze artificiali e a sua volta incubatrice di tecnologie avveniristiche. Una matrice violenta proprio perché sovrabbondante e squilibrata, dove però non trionfa l’uomo tutto sommato primitivo e un po’ naive di Nietzsche, ma il robot che quell’uomo ha creato per farsi servire, finendo invece per esserne servo. Insomma, un mondo meccanizzato e disumanizzato in una maniera, e secondo una prospettiva, antitetiche a quelle nicciane, ma parimenti violente. Ma Friedrich non avrebbe neppure immaginato che l’altro protagonista dei nostri giorni (quelli che lui, morendo all’alba del secolo breve, era comunque riuscito a intuire) sarebbe stato così spietatamente nicciano e anti-nicciano al contempo. Perché tali sono Al Qaeda, l’Isis e tutta la galassia del radicalismo maomettano. Sono epigoni di Nietzsche nella misura in cui realizzano il suo miraggio di un’umanità trasmutata nei valori, proiettata aldilà della linea demarcante il bene dal male, ruggente e famelica, dichiaratamente chiusa a ogni dialogo, votata al martirio pur di affermare la propria volontà. Una umanità amorale e violenta quanto Nietzsche avrebbe desiderato. E però dal medesimo incommensurabilmente distante perché devota a un orizzonte trascendente, non terreno, bensì ultraterreno, a un dio invisibile collocato aldilà della vita reale, godibile e sperimentabile, tanto cara al nostro. Insomma, la quintessenza di tutto ciò che Nietzsche odiava. Se paragoniamo Nietzsche a un alchimista, potremmo dire che gli è sfuggito di mano il crogiuolo nel quale egli ambiva forgiare una rinvigorita civiltà. Gli è riuscita una ciambella senza il buco. Infatti, se potesse dare uno sguardo all’oggi, Nietzsche sarebbe disgustato sia dal movente delle stragi jihadiste sia da quello sotteso all’attuale struttura socio-economica del mondo. Eppure sarebbe ammaliato dalla cruda, pur diversa, e non limitabile, violenza di entrambi. Antidoti? Forse uno solo, quello compendiato nelle quattro parole inscritte sul frontone del tempio di Delfi: gnoti s’auton (conosci te stesso) e meden agan (niente di troppo). In questo invito al ripiegamento interiore e alla coltivazione della giusta misura in ogni cosa, posti come pietra angolare dell’edificio di tutta la filosofia greco antica, sta l’unico rimedio agli oltre-umani (ma, in verità, disumani) latrati del credo di Nietzsche, sedimentati nel Novecento e venuti ora a maturazione. Non è un caso che le due richiamate esortazioni, istoriate sulla soglia della casa di Apollo, siano l’antitesi esatta di quell’eccesso in cui si concreta, anche sotto il profilo etimologico, la violenza. Sempre non a caso, la filosofia classica, Socrate in primis, era odiata da Nietzsche, è bistrattata dalla matrice liberal-capitalistica (che l’ha ghettizzata, se non espunta, dai programmi scolastici), ed è addirittura inconciliabile con l’irragionevole e mortifera ‘religione’ propugnata dagli imam del terrore, con buona pace di Averroè. Non ci resta che ripartire dal principio, anzi dai principii di ragione, di virtù e di temperanza da cui è scaturita la tradizione occidentale. Se riprenderemo il filo di quel discorso interrotto e deragliato verso le devianti e allucinate violenze della contemporaneità forse ritroveremo anche il filo della speranza perduta.
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