Da qui all’autunno saremo bombardati, com’è giusto, dalle petulanti argomentazioni dei paladini del sì al referendum. Ogni tanto, speriamo, interrotte da una mitragliata sporadica di ragioni a favore del no. Ma potrebbe, in fin dei conti, rivelarsi una battaglia di retroguardia e vi spiego perché. Sono stato in visita al Parlamento della Repubblica e mi è capitato di entrare nella sala di un gruppo consiliare e, intanto che ascoltavo l’esponente di un partito, mi è caduto l’occhio su una dispensa con la copertina blu, i cartigli del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati in discreta evidenza sopra il titolo ‘legge di delegazione europea’. Mi sono illuminato d’immenso. Allora esiste davvero, non è un’invenzione cospirazionista. Davanti a me, compulsato dalle mie dita febbrili, uno dei prodotti avariati della legge delle leggi, recante il numero 234/2012. Non penso la conoscano in molti perché il bon ton istituzionale vieta che se ne parli, ma conta, eccome se conta. Più della riforma costituzionale e più persino dell’Italicum. Queste ultime sono solo le rondelle destinate ad avvitare la targhetta di riconoscimento alla caldaia della Matrice. Ma la legge 234 è la caldaia. In cosa consiste? È presto detto. Si tratta del libretto di istruzioni grazie al quale i nostri sedicenti eletti (deputati o senatori che siano) debbono assemblare le norme comunitarie e dargli una sverniciatina di italianità. Praticamente, e tassativamente entro il 28 febbraio di ogni anno, il parlamento italiano deve licenziare un paio di leggi: con la prima, detta legge di delegazione europea, (il mio tessssoro blu) esso conferisce al governo le deleghe per il recepimento delle direttive di Bruxelles; con la seconda, detta legge europea, esso modifica o addirittura abroga le leggi italiane bocciate o censurate dalla Corte di Giustizia della Unione Europea ovvero dalla Superfantamitica Kommissione dei regnanti. Ergo, i nostri rappresentanti fanno ciò per cui sono realmente pagati e cioè ratificare le decisioni prese altrove, extra moenia direbbero i giuristi fighi (e cioè fuori dalle mura, aldilà dei confini italici). Di cosa vogliamo ancora parlare? Di sistema elettorale, di riforma costituzionale? Cambia qualcosa? Non cambia nulla nel Regno di Oz dove il papello blu di cui vi parlavo è l’equivalente di quello rosso di Mao nella Cina della rivoluzione culturale perché trovi, una pagina via l’altra, prima la norma UE nobilmente incorniciata in un riquadro e poi l’articolo del nostro parlamento sovrano che la assembla a beneficio dei sudditi. Tipo il manuale di istruzioni di un mobilificio nordico. Venghino signori venghino all’Ikea della demokrazia matura. Estraiamoli col bussolotto i senatori o mettiamone il seggio all’asta con la lotteria di capodanno. Tanto alla fine debbono limitarsi a eseguire i comandi del libretto blu. Chissenefrega se le camere elettive sono composte da 300 dattilografi piuttosto che da 100 stenografi, chissenefrega se chi vince col 40% dei voti poi si piglia l’intera posta, chissenefrega pure se le suddette camere non sono neanche più elettive. Sono camerette in svendita. Anzi già vendute.
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