L’altro giorno mi è venuto un dubbio. In senso “letterale”. Mi è arrivato via mail un link alla pagina del giornale “Il Dubbio” fondato dalla FAI, Fondazione dell’Avvocatura Italiana, e promosso dal CNF, il Consiglio Nazionale Forense; insomma, un po’ l’equivalente, per gli avvocati, di ciò che l’Avvenire è per la CEI. Mi si informava di una iniziativa straordinaria, epocale addirittura. Al che mi sono messo impettito sulla sedia per capire. Ho appreso che, a metà settembre, nella capitale, si riunisce nientepopodimeno che il G7 dell’avvocatura mondiale. Nell’editoriale di prima pagina del quotidiano si legge: “Evento storico in sé perché un G7 dell’Avvocatura non si era mai tenuto”. Come non concordare? Allora mi sono sentito legittimamente orgoglioso – in quanto membro della categoria – e ho deciso di approfondire. Nella mia mente turbinavano le decine di questioni giuridiche decisive su cui cotanto consesso potrebbe dibattere per far sentire “la voce del diritto”. Tipo – così, buttate lì a caso senza pretese di completezza – : il profilo di incostituzionalità dei trattati europei e l’indebita cessione di sovranità nazionale dell’Italia a Bruxelles e Francoforte con patente inosservanza dell’articolo 11 della Costituzione italiana; oppure: le dinamiche giuridiche che consentono ai colossi multinazionali di eludere l’imposizione fiscale nei paesi più industrializzati; ancora: i bachi nell’ordinamento giuridico che propiziarono il “golpe bianco” (definizione del sommo giurista Giuseppe Guarino) del nostro ingresso nell’euro o il golpe bianchissimo della nostra definitiva capitolazione alla monarchia oro-stellata avvenuto nel 2011 a colpi di spread; infine: la svendita della cittadinanza italiana sub specie di ius soli o la violazione contemporanea di cinque o sei articoli della costituzione fatta con il decreto Lorenzin sulle vaccinazioni obbligatorie. Ero ancora inebriato dall’orgoglioso senso di appartenenza alla mia corporazione quando mi sono accorto di essermi distratto. Non stavo leggendo ciò che il G7 dell’avvocatura farà, ma ciò che il buon senso, la ragionevolezza, lo spirito patrio, la coscienza civica mi urlavano nelle orecchie che avrebbe dovuto fare. Allora ho proseguito nella lettura e ho scoperto che l’oggetto dell’epocale meeting è il “linguaggio dell’odio” che costituisce, udite udite, “un virus mortale per la stessa democrazia”. Per un attimo ho vacillato, mi sono detto che era uno scherzo, magari quelli del Dubbio hanno deciso di editare anche una versione satirica modello “Cuore” (sulla falsariga dell’inserto de “L’Unità” degli anni novanta). Niente da fare. È tutto vero. Nell’epoca più bisognosa di sempre di avvocati (rettamente intesi come difensori dei diritti civili e baluardi della legalità democratica), gli avvocati – anziché occuparsi dell’erosione criminale in atto di ogni residuo simulacro democratico – si preoccupano del linguaggio dell’odio. Di un sentimento, capite? Che è poi – come ben sa chiunque abbia letto e meditato Orwell – la porta d’accesso al controllo sistematico del pensiero e della parola. Detto brutalmente, l’anticamera della censura. Ci arriveremo con il beneplacito degli avvocati, a quanto pare. Poi a cose fatte, organizzeranno magari un bel G7 sul “linguaggio dell’obbedienza”. Mi sa che non m’invitano.
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