Notizie dal Miur. In Italia gli studenti stranieri aumentano al ritmo del 20% all’anno, mentre quelli italiani diminuiscono a rotta di collo. Tra qualche anno, le scuole a maggioranza straniera non saranno l’eccezione, ma la regola. Nel 2014-2015, gli alunni stranieri erano 814.187, pari al 9,2% del totale contro il 2,2% del 2001-2002. Gli stranieri più numerosi sono i rumeni seguiti da albanesi, marocchini e cinesi. Ora, ci sono due modi di interpretare il fenomeno. Il primo è parlarne con un idiota programmatico, il secondo con un filosofo. L’idiota ti dirà che sei un razzista, un populista, un qualunquista e via insultando. E se gli fai notare che hai solo snocciolato dei numeri, l’idiota programmatico ti dirà che ha ben capito dove volevi andare a parare, che sei contro la società multiculturale, contro l’integrazione dei diversi, contro la globalizzazione dei talenti e la sinergica, e molto energica, creatività di ogni melting pot (che, in inglese, significa calderone o crogiuolo). E se gli dici che un calderone è un arnese dove gli alchimisti mischiavano elementi differenti provocandone la dissoluzione, lui ti risponderà che alchimista sarai tu. E pure populista, razzista e, già che ci siamo, anche piazzista delle tradizioni. Con l’idiota programmatico è impossibile ragionare perché è programmato, appunto, a reagire come il cane di Pavlov: cioè a salivare un rabbioso (e molto schifiltoso) disgusto ogniqualvolta si trovi di fronte alla negazione delle irrefutabili conquiste civili, sociali, economiche, politiche che la post modernità della globalizzazione imperante ha portato con sé. Se ne parli con un filosofo, invece, ti dirà che il fenomeno in questione è destinato a portare all’irreversibile svuotamento dei connotati di popolo del cosiddetto popolo italiano. Dell’Italia, cammin facendo (e lo dicono i numeri, mica i populisti) resterà solo un nome identificativo di qualcosa che non c’è perché si è liquefatto. Il territorio italiano sarà conquistato con le buone da altri popoli che italiani non sono. Ora, il filosofo, di fronte a un fatto non ti insulterà, ma ti inviterà a riflettere: posto che, stando alla versione dell’idiota programmatico, la frantumazione dell’identità nazionale è necessariamente un bene e supponendo che sia vero, possiamo dire che la conservazione dell’identità nazionale, cioè il mantenimento di una maggioranza di consociati che si riconoscono in un condiviso patrimonio di biografie, religione, tradizione, linguaggio, mentalità, valori, credenze, non è necessariamente un male? Altrimenti detto, se l’idiota programmatico ha ragione, questo significa di default che chi la pensa in modo opposto ha torto? E se il paladino dell’antitesi non ha torto, se la difesa della propria specificità nazionale suscita ancora dei conati di orgoglio nel petto di qualcuno, le domande successive quali sono? È inarrestabile il processo preconizzato dal Miur? Come lo abbiamo permesso o assecondato? È ragionevole immaginare un percorso non solo teoretico, ma anche di praxis politica (come direbbe un marxista che, dopotutto, è un filosofo anche lui) che impedisca l’eutanasia di una nazione? Alla fine, non prendiamocela comunque con l’idiota programmatico perché in ciascuno di noi ne alberga un esemplare. Interroghiamo piuttosto il nostro filosofo interiore. È l’unico modo per trovare delle risposte non programmate. E neanche idiote.
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