In un’intervista al Fatto Quotidiano Paolo Mieli, presidente di RCS libri e firma storica del giornalismo italiano, fa un’affermazione interessante: ‘la Merkel e gli altri governi stranieri è chiaro che preferiscono Monti: finalmente si confrontano con qualcuno che ne capisce, anzi ne capisce più di loro’.
E’ un concetto che esprime da dio il credo e i tic di una certa intellighenzia x la quale gli ‘arcana economica’ da cui dipendono i nostri destini sociali sono assimilabili alle tavole astrali che influenzerebbero i nostri destini esistenziali. In altre parole, una materia nebulosa, estremamente complessa, che richiede studi decennali, esperienze internazionali, accreditamenti presso istituzioni globali very snob. Roba supertosta per tipi dalla mente sopraffina e col curriculum d’acciaio. Da qui nasce il mito del montismo e germina, per polluzione spontanea, una convinzione pudicamente, ma fieramente antidemocratica. Quella per cui il Governo del Paese è e deve essere l’esercizio di un’arte misterica attingibile solo a una cricca aristocratica di Voldemorth in sedicesimo (in effetti il nostro premier con la sua inveterata abitudine di atteggiare le mani ad artiglio, quando spiega da par suo, incarna icasticamente il tipo anche col linguaggio del corpo). In genere vengono presentati per tali, e quindi cooptati nelle stanze dei bottoni, coloro che vantano un background di spicco, avendo prestato servigi e messo a disposizione competenze nel business high level o nella finanza che conta. Nell’identikit rientrano anche soggetti che possono esibire le spalline tirate a lucido di qualche superba università, preferibilmente straniera. Va da sé che questa forma mentis può reggere fino a un punto, precisamente fino a quello di rottura, quando il cittadino intuisce che qualcosa non quadra in aforsimi come quello di Mieli o nei vibranti appelli con cui il Quirinale auspica un futuro politico di prono adeguamento all’eurovisione a senso unico ben sintetizzata dal ‘montismo’. Il baco che sta mandando a carte quarantotto il film che ci hanno proiettato negli anni della crisi si chiama consapevolezza. La gente comune ha cominciato a leggere, studiare, informarsi, approfittare di qualcuno dei vantaggi forniti dall’immenso repositorio di conoscenze che è l’arena digitale e ha scoperto il bluff: non c’era niente di così difficile da non poter essere inteso, il casino finanziario che ci ha travolti come un Uragano Katrina è perfettamente comprensibile, non serve un Mario Monti (ingiustamente strappato ai suoi studi) per capirci qualcosa di più di una Merkel o di un Obama o di un Cameron. I fondamentali della Crisi e le cause che l’hanno determinata sono di una banalità sconcertante e affondano nell’aver scippato agli stati la sovranità monetaria, cioè il potere di battere moneta senza dover chiedere permessi, e nell’aver immolato gli stati medesimi al Moloch dei Mercati. Cioè dei grandi speculatori internazionali che, pigiando il tasto di un computer, possono far crollare un governo con un semplice logaritmo spara spread. In un altro passaggio dell’intervista, Mieli sembra quasi ammaliato da questa situazione: ‘Io sono favorevole a una richiesta rapida di aiuto all’Europa. Anche se comporta appunto una cessione di sovranità in materia economica, ovviamente all’Europa degli eletti o a un mix di eletti e Banca Centrale’. Strepitoso. L’unica istituzione comunitaria che possa vantare una scaturigine elettorale è il Parlamento, un organo che non ha grandi margini di manovra a parte dedicarsi alle circonferenze delle zucchine. Tutte le altre sono agenzie che di europeo hanno solo l’aggettivo qualificativo. Prendete la BCE che è, di fatto, un ente ‘partecipato’ dalle singole banche nazionali che, a loro volta, sono istituti a larga partecipazione privata che di statale hanno poco o nulla. Eppure dalla BCE e dal Fondo Monetario Internazionale (che di europeo non ha neppure l’aggettivo) dipende in larga parte l’ossigeno che terrà in piedi le economie moribonde di Spagna, Italia, Grecia. Se faremo i compitini ci acquisteranno i titoli di stato indebitandoci ancora di più e regalandoci qualche altro annetto di agonia in cambio dei gioielli di famiglia: privatizzazioni a gogò, rinuncia a fette consistenti di welfare, tagli di spese che colpiranno le fasce più basse della popolazione. Ergo? Ergo, un buon promemoria per l’elettore che si troverà una scheda in mano la primavera prossima potrebbe essere questo. Prima delle elezioni fare (e farsi) poche domande il più spesso possibile a quanta più gente possibile nei contesti più disparati, così da diffondere il baco della buona conoscenza. Esemplificando: quando siamo stati informati che, in violazione dell’articolo uno della Costituzione, la nostra sovranità monetaria sarebbe stata ceduta a un ente terzo? Chi lo ha deciso? Con quale strumento, magari referendario, è stato concesso al popolo di pronunciarsi su una questione di tale importanza? Quando ci hanno avvertiti che l’Europa era un processo irreversibile visto che oggi il non eletto Draghi, il non eletto Monti, il non eletto Von Rompuy ci ripetono che non si può più tornare indietro? Chi ci ha chiarito in illo tempore che, quando parlavano di Europa Unita, lorsignori intendevano questa repellente burocrazia tecno-bancaria schiava dei mercati e non una confederazione di popoli differenti e sovrani ispirata, come dovrebbe, al principio di sussidiarietà e al rispetto delle singole autonomie? Una volta il test per capire cosa volevamo dal futuro era: mi piacerebbe morire democristiano? Oggi dovrebbe essere: mi piacerebbe morire da suddito di questo orrendo leviatano con dodici stellette su campo blu? Nell’urna dimentichiamoci la polemica contro la casta e anche i rigurgiti di antiberlusconismo militante o i riflessi pavloviani di anticomunismo. Sono battaglie legittime, ma fuorvianti. La priorità non è più la scelta tra destra e sinistra, tra guardie e ladri, tra rivoluzione liberale e socialismo riformista. La priorità è riprendersi ciò che era nostro. Non siamo stupidi, abbiamo capito abbastanza per mandare uno di noi a confrontarsi con Merkel e compagnia e dir loro che ce ne torniamo a casa. Si tenessero la loro Europa di plastica e il loro progetto di Confraternita continentale delle elites. Gli abbiamo dato dieci anni della nostra vita, abbiamo toccato con mano e può bastare. Abbiamo capito come, quanto e forse di più dei tecno sapienti. Quelli che non ci hanno tirato fuori dal pantano perché figli di quella cultura che il pantano lo ha generato. Dopo aver infettato con il bug della consapevolezza il file dell’agenda Monti, non ci resta che tentare l’operazione di recupero. Possiamo ancora farcela. Basta rispedire al mittente (non votandoli) tutti quelli che faranno discorsi del tipo ‘in un’ottica di continuità con l’agenda Monti’ o che si faranno ispirare da esortazioni (Mieli d.o.c.) della serie: “mi auguro che la crisi sia stata un tale choc per cui la sovranità economica si trasferisca dai singoli Paesi alle istituzioni europee’. E’ vero, lo choc c’è stato, ma anziché rimbambirci, purtroppo per loro, ci ha svegliati, forse appena in tempo.
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