LASCIATELI LAVORARE
Quando ho visto il nuovo segretario della CGIL, Landini, agitarsi sul palco di un’assemblea acclamante indossando un vistoso, e simbolico, maglioncino rosso ho sinceramente pensato che un sindacalista di sinistra stesse facendo un discorso di sinistra a una platea bisognosa come non mai di una nuova politica di sinistra. E sapete perché l’ho pensato? Perché il volume del televisore era in modalità off. Per un breve momento – prima di ristabilire una connessione sonora – mi sono affidato alle (mi sono fidato delle) apparenze, della mimica e del linguaggio del corpo. E, giuro, Landini pareva davvero un sindacalista di sinistra il quale stesse facendo un discorso di sinistra a una platea bisognosa come non mai di una nuova politica di sinistra. Pareva. Poi l’audio ha rimesso le cose ha posto e dalla bocca di Landini hanno cominciato a fuoriuscire le parole. L’effetto è stato straniante assai. Un po’ come in quegli sketch comici dove un personaggio famoso viene doppiato con la vocina di Mickey Mouse. Grottesco: vorresti ridere, ma ti vien da piangere.
Ecco, Landini mi ha procurato la stessa reazione quando ha parlato di lavoro, di italiani e di sfruttamento. Che è un po’ come dire il vangelo di un uomo di sinistra che si rispetti. Solo che lo ha fatto dicendo il contrario di quanto era lecito aspettarsi. Sul lavoro, ha tacciato Di Maio e Salvini di non essere interlocutori credibili per non avere, i poveretti, mai lavorato in vita loro. Ma cos’è il lavoro, Landini? È davvero possibile che un sindacalista lo identifichi ancora, e solo, con la meccanica equazione “rispetto l’orario-prendo il salario”? Il lavoro è prima di tutto dispiego di energia fisica e mentale per creare valore. E ci sono persone, anche politici e persino sindacalisti, che pur non lavorando nel senso tecnico, e ottuso, del termine (quello cui pensano in troppi quando pensano al lavoro) sgobbano in un anno più di quanto un lavoratore “orario-salario” si sbatta in una vita. Senza contare che, a usare le categorie di Landini, oltre ai politici, il primo gruppo a finire nel mazzo del qualunquismo landiniano sarebbero proprio i sindacalisti; molti dei quali non “lavorano” affatto, sono “distaccati”, a volte vita natural durante, a fare cose diverse da quelle per cui sono pagati. Il che non significa, in coerenza con quanto detto finora, che essi non lavorino. Ma forse, il fatto che abbiano la busta paga li sottrae al biasimo del successore di Susanna Camusso. O forse è solo spirito di corpo.
In ogni caso, l’occasione è buona per liberarsi da una certa proletaria retorica del lavoro, di origine novecentesca. Non ne possiamo più di miliardari, di professori, ma anche di sindacalisti, accomunati da questa marxiana e classista visione della politica sintetizzata alla Celentano: come chi non lavora non fa l’amore, così chi non ha lavorato – nel modo gradito a loro – non deve far politica. Smettiamola, smettetela, di parlare per slogan. E se, per una volta, ci sono politici che non vi aggradano, fate un esperimento, così, per vedere l’effetto che fa: lasciateli lavorare.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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