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La verità rubata

Adesso parliamo del segreto meglio custodito della storia. E lo facciamo partendo da Luigi Di Maio e passando per Edgar Allan Poe, il grande narratore americano. Ci sono delle analogie sorprendenti tra l’uno e l’altro soggetto, a volerle cercare. Il primo è un ministro che cerca i soldi per realizzare progetti di governo a beneficio di chi l’ha eletto, ma non li trova. Il secondo ha scritto un celebre racconto, ‘La Lettera rubata’, in cui si parla di un ministro il quale ha nascosto e sottratto un documento compromettente che tutti cercano ma nessuno trova. La soluzione dell’enigma del racconto di Poe può indirizzarci lungo la via che porta alla soluzione del problema di Di Maio. “Un ministro serio può trovare i soldi per le riforme,” ha detto Di Maio. “Il modo migliore per occultare una cosa è non occultarla affatto,” è la morale delle pagine che precedono la fine della storia di Poe: la lettera misteriosa viene scovata quando tutti smettono di frugare e uno solo capisce di averla davanti al naso. Proprio lì, in bella vista, così evidentemente ‘esposta’ che nessuno la ‘vede’.

Per i soldi di cui abbisogna il Paese, vale lo stesso. Noi –  Di Maio compreso, e compresi i suoi  predecessori –  i soldi li cerchiamo nei posti sbagliati. Per esempio, dentro le nostre tasche. Ci hanno persuasi, fin da bambini, che le risorse per fare le riforme uno Stato le può attingere solo dalle tasse dei cittadini. E se queste non bastano, la Nazione deve indebitarsi. La nostra Repubblica sarebbe una specie di grande condominio dove tutti versano le quote che poi l’amministratore usa per pagare le spese. E, se il piatto piange, chiede prestiti in giro. Ma non è mica vero. La Costituzione dice (articolo 53) che i cittadini devono “concorrere” alle spese pubbliche. “Concorrere” significa che non tutte le spese sono coperte dalle tasse. Quindi, i nostri Padri costituenti sapevano che lo Stato – uno Stato serio, direbbe Di Maio, se sapesse in cosa consiste la serietà di uno Stato – è in grado di procacciarsi da sè i quattrini da spendere in investimenti, una volta esauriti quelli ricavati dalle imposte. Ma veniamo al busillis. Abbiamo detto che la lettera di Poe non la trovava nessuno perché non era nascosta, ma esibita. Per i fondi cercati da Di Maio, è uguale.

Da oggi, guardate con più attenzione un TG qualsiasi e contate quante volte trasmettono questa scena: rotative che stampano banconote nuove di zecca (letteralmente) come fossero volantini pubblicitari. È un trailer onnipresente. Lo usano come sfondo immancabile in ogni circostanza: che si parli di pensioni, di ripresa, di sanità, di Europa, di flat tax. Il Sistema, ogni giorno, proprio sotto i nostri occhi ipnotizzati, mostra la madre di tutte le soluzioni: da qualche parte, in qualche luogo, ci sono macchine in grado di generare la ricchezza di cui Di Maio, Tria e il Paese intero hanno bisogno. E ve le illustrano quotidianamente, senza però parlarne mai. Proprio come la lettera rubata di Poe, il tesoro più introvabile è anche il più sfacciatamente squadernato. E –  proprio come la lettera rubata di Poe –  il Sistema lo ostenta mane e sera come se fosse un dato ovvio, naturale, pre-politico, su cui non c’è nulla da dire. E, infatti, nulla viene detto: a  nessuno e da nessuno. Così, ad essere rubata non è solo una lettera, ma la più importante delle verità.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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