Nanni Moretti diceva che le parole sono importanti. Aveva molto più che ragione. Le parole, in senso letterale, creano il mondo. E non serve essere dei ferventi lettori del Vangelo secondo Giovanni (“In principio era il Verbo”) o dei nostalgici dell’idealismo per riconoscerlo. Le parole, innescate a loro volta dai pensieri, generano emozioni e stati d’animo e – laddove impiegate su vasta scala e dotate di un’eco pubblica, mediatica, quindi sociale – producono cambiamenti e persino rivoluzioni. Vanno maneggiate con cura, insomma, e soprattutto vanno decodificate per smascherare le reali (spesso cattive) intenzioni di chi le conia per poi farne moneta corrente nel dibattito politico. E allora occupiamoci di alcune delle parole più gettonate nel juke box post elettorale. Due su tutte: ‘estremisti’ e ‘sovranisti’. Renzi ha detto che non farà accordi con gli estremisti. La stampa internazionale (a dimostrazione che il livello miserevole dell’opinionistica politica non è una malattia solo nostrana) ha scritto che in Italia hanno vinto gli estremisti. Dove, per ‘estremisti’, si intendono i pensionati, le massaie, i diciottenni, i padri di famiglia rei di aver votato Cinque Stelle o Lega. Tutti ‘estremisti’ anche se non è vero, come può appurare e ammettere senza sforzi chiunque non sia divorato da una malafede livorosa. Ma chi detiene il monopolio dell’informazione se ne sbatte. Bollati come ‘estremisti’, quei pacifici elettori (stufi del servilismo pro-establishment dei partiti pro-establishment) lo diventano, grazie al potere demiurgico della parola, e dunque, nell’immaginario massmediatico, rassomigliano tanto a dei black bloc di ritorno, sovversivi e maramaldi. L’altro termine abusato è ‘sovranisti’, scandito in genere con una intonazione spregiativa: ‘sovranisti’ come si dice ‘razzisti’ o ‘populisti’ o ‘qualunquisti’. Il che ci offre un’insuperabile esempio della portata mistificatoria delle parole, se impiegate con manipolatoria perversione. In realtà – pensateci – sovranisti dovrebbero essere (per definizione, se non per orgoglio) tutti, indistintamente, gli elettori di qualsiasi partito candidato alle elezioni del Parlamento della Repubblica italiana. Non foss’altro perché la Costituzione, all’articolo 1, dice che la ‘sovranità’ appartiene al popolo, mica ai Mercati, alla BCE o alla Commissione Europea. Eppure, ‘sovranisti’ è un epiteto ingiurioso. Allora proviamo a diffondere noi – nel nostro quotidiano discorrere di politica – un’altra parola. Trattasi sempre di un sostantivo plurale maschile: ‘eversivi’. Tutti coloro che cianciano di Stati Uniti d’Europa e che hanno avuto o avranno corresponsabilità nella costruzione di quell’obbrobrio vanno, d’ora innanzi, appellati come ‘eversivi’. Essi, infatti, si applicano a un progetto eversivo perpetrato in patente violazione dell’articolo 139 della Carta (“La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”). Anche dare degli ‘eversivi’ agli euro-esaltati significa usare strumentalmente una parola. Ma è un uso che, a differenza degli altri due, ha pure un connotato etico: risponde al vero.
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