L’attuale stato di emergenza nazionale da Coronavirus non è più un problema sanitario. È un problema psicologico, e sociale, di enormi dimensioni. Rispetto al quale non dobbiamo più chiederci se, e in che misura, il virus è così pericoloso. Tanto da meritare, per intenderci, uno stato di allerta che manco la Ebola haemorrhagic feverin (confidenzialmente detta “Ebola”) in Guinea nel 2014 o il bacillo Yersinia pestis (confidenzialmente detto “peste bubbonica”) nella Padania dei Promessi sposi.
La faccenda potrebbe essere affrontata sotto tre profili corrispondenti ai tre anelli di una catena di cause ed effetti: politico, mediatico e sociale. E tutti mettono in campo temi scottanti e attualissimi come il condizionamento mentale delle masse, la propaganda di regime, la produzione del consenso. Delle tecniche suddette si sono occupati i più grandi, e purtroppo poco noti, specialisti del Novecento: da Gustave Le Bon (“La psicologia delle folle”, 1895) a Walter Lippmann (“Public Opinion”, 1922) a Edward Louis Bernays (“Propaganda”, 1928).
Nel caso odierno, però, aldilà dell’evidente utilizzo di stampo propagandistico e strumentale di una emergenza che non c’è (e delle strategie impiegate per divulgarla), dovrebbero interessarci le ragioni; il “cui prodest” di antica memoria. Ebbene, da questo punto di vista, la dimensione politica e quella mediatica sono facilmente risolvibili. Quella sociale, invece, è un po’ più problematica.
Partiamo da chi sta sopra: i governanti sfruttano il “Mostro” Covid perché sanno quanto “renda” la paura, in termini di fabbricazione del consenso e inibizione del dissenso. Detto per inciso, e per farci una risata sopra: gli attuali untori di panico generalizzato, anche ai più alti livelli, hanno sempre accusato populisti e sovranisti di alimentare le fobie della gente. Bellissimo il pulpito donde predicano; assai meno il cortile dove razzolano.
Ma andiamo avanti e passiamo al settore di certa informazione “ufficiale”, quella dove non tramonta mai la verità, per capirci, come il sole nell’impero di Carlo V. L’apparato mediatico mainstream, in effetti, non meriterebbe neppure troppa considerazione. Purtroppo, gioca un ruolo decisivo e non lo si può ignorare: garantisce un efficiente giramento di pale del frullatore di ansia ed angoscia in funzione acca ventiquattro. Quello mandato in onda a reti unificate ogni volta che parte la sigla di un tiggì. Orbene, in primis “quei” media, in “quelle” circostanze, non fanno informazione, ma raccolgono audience: urlare “al lupo!” è sempre stato un ottimo stratagemma per vendere copie o attrarre spettatori.
In secondo luogo e soprattutto, quasi sempre essi rivestono, sotto traccia e per ragioni di mera convenienza, un ruolo di propalatori del verbo “governativo”. Quindi, di garanti del conseguente sistema sanzionatorio. E chi sgarra, si badi bene, non è solo punito in via amministrativa o penale. È anche additato al pubblico ludibrio, dagli stessi media-gendarmi, in quanto dissonante (cioè eretico) rispetto ai dogmi salutisti della Repubblica Italiana fondata sulla Sanità.
Ma veniamo adesso al terzo anello della catena: la gente. Perché la gente ci crede? Perché la gran parte delle persone si fanno terrorizzare a dispetto dei numeri, delle statistiche, dei pareri di autorevolissimi scienziati, dell’empirica evidenza dei fatti? La spiegazione può venirci da Elisabeth Noelle-Neumann, altra grande studiosa del Novecento cui va il merito di aver approfondito, in modo serio, scientifico, accademico il devastante influsso dell’apparato mediatico ufficiale, cui sopra ci siamo riferiti, sulla formazione delle “idee”, dei valori, financo delle più intime convinzioni di ciascun cittadino-bersaglio.
Detta in breve, la sua teoria sostiene che – in un sistema “Tv-centrico”, qual è ancora, in gran parte, il nostro – la massa tende a interpretare come “opinione pubblica” corrente (cioè largamente maggioritaria) quella “certificata” dalle cinghie di trasmissione degli “amplificatori” di regime. Ne discende che molti consociati si auto-impongono il silenzio, o quantomeno si censurano da sé. Ciò nel timore di manifestare idee e convinzioni contrarie a quelle (erroneamente) ritenute più diffuse tra il popolo; e, quindi, più “giuste” secondo il popolo.
Se vogliamo, la tesi della Noelle-Neumann è una rilettura del noto sofisma illustrato nelle scuole della retorica classica: la fallacia “ad popolum”. Esso consiste nel ritenere giusta una linea di pensiero, di azione o di condotta non perché “ragionevole”, “meditata” e “argomentata”, ma semplicemente perché accettata supinamente dai più. Nel caso della “spirale del silenzio”, vi è però la beffa, oltre al danno: forse, a ben vedere, l’opinione “apparentemente” dominante non è, in realtà, anche quella “prevalente”.
Semmai, appare tale perché tale l’ha fatta “sembrare” il tam tam ipnotico dei tamburi digitali e il “malocchio” degli iridi “al plasma” del Grande Fratello: quella specie di nenia incantatrice a cui siamo tutti soggiogati da mane a sera. E che tanto rassomiglia a certe modalità, induttive di trance, di matrice primitiva. Per concludere, nel caso odierno c’è anche un ultimo spettacolare fattore estetico (ma in realtà “comunicativo” al sommo grado): l’imposizione sacrale della nuova “museruola” sanitaria simboleggiata dalla famigerata “mascherina”.
Ci vogliono in maschera perché ci vogliono senza identità. Ci vogliono in maschera perché ci vogliono silenti. Ci vogliono in maschera perché dobbiamo, tutti, danzare in sincrono nel mortifero ballo di questa moritura civiltà.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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