Anno del Signore 2022, mese di luglio, giorno 9, titolo a tutta scatola di Repubblica: “Non è un paese per bimbi”. Ora, marzullianamente, fatevi una domanda e provate a darvi una risposta: questo titolo vuol essere un campanello d’allarme contro una china pericolosa oppure la compiaciuta presa d’atto di un obbiettivo raggiunto? A seconda di come lo leggi, tutto dipende, direbbe Jarabe de Palo. Insomma, cosa intende dire Il più importante quotidiano della “sinistra”, dei “diritti”, del “progresso”, della “Europa”, e chi più virgolette ha più ne metta? Forse: “Oddio, l’Italia non è più un Paese per bimbi, dobbiamo fare qualcosa!”. Oppure: “Ragazzi, ce l’abbiamo fatta: finalmente l’Italia non è più un Paese per bimbi!”.
Intanto che vi fate la domanda e provate a darvi la risposta, vi sveliamo il senso di quel titolo per chi l’ha fatto: c’è la denatalità, e la colpa è della povertà. Lo si capisce dall’occhiello dove sta scritto: “L’Italia secondo l’istituto di statistica: si allarga la povertà e quindi crolla la natalità con un -12 sul 2021”. A questo punto, il mistero iniziale sembrerebbe risolto: Repubblica sta lanciando un allarme, ha individuato un problema e ci offre persino una soluzione che è la lotta alla miseria. Ma scoprire cosa intendeva dire il quotidiano di Agnelli non implica che quel titolo sia coerente con la linea editoriale del medesimo e con l’ideologia di riferimento dell’area politica cui lo stesso si rivolge.
Una linea e una ideologia in cui alcuni temi (definiti “diritti”) vengono prioritariamente, sistematicamente e ossessivamente “martellati” nella testa dei lettori e degli elettori: 1) il sovrappopolamento (e il conseguente surriscaldamento globale) come male (quasi) incurabile del pianeta; 2) la competitività spinta nel mercato del lavoro destinata a premiare le eccellenze e ad espellere (nel precariato) le mediocrità; 3) l’aborto come imprescindibile conquista di civiltà; 4) la propaganda di stili di vita e di scelte sessuali oggettivamente incompatibili con la nascita di un bambino dal ventre di una madre (di sesso femminile) fecondata da un padre (di sesso maschile).
Quanto al primo dei succitati temi, è stato l’attuale Ministro per la transizione ecologica a ricordarlo in un convegno: a suo dire il nostro pianeta è stato progettato per circa tre miliardi di persone (ergo, ne “crescono” almeno cinque in eccesso). Quanto al secondo, basti pensare al modello ordoliberista su cui è plasmata la Ue dove la disoccupazione non è una piaga da abbattere, ma un provvidenziale strumento di “regolazione” dell’economia; mentre il precariato serve a raddrizzare la schiena ai “bamboccioni”. Quanto al terzo, vedansi i pianti greci e gli stracciamenti di vesti dei “progressisti” nostrani davanti alla sentenza della Corte Suprema americana sull’aborto come diritto “non” costituzionale. Quanto al quarto, si ponga mente alla trasformazione del (sacrosanto e dovuto) rispetto per le differenze in una forsennata “vendita” porta a porta di qualsiasi opzione eccentrica rispetto al naturale orientamento eterosessuale.
Capite bene come i quattro punti di tale agenda siano perfettamente in linea con il (se non addirittura prodromici rispetto al) fenomeno della decrescita felice dei bambini. Infatti: se il mondo è sovrappopolato, la denatalità è un bene o un male?; se i giovani trovano un lavoro precario a trent’anni, quando la progetteranno, e poi formeranno, una famiglia?; se i bimbi li eliminiamo prima che vengano al mondo, come possono venire al mondo?; se “promuoviamo” in ogni modo le unioni “diverse”, le culle vuote aumenteranno o diminuiranno? E la “povertà”, allora? Individuata da Repubblica come la responsabile assoluta delle poche nascite? È solo un capro espiatorio di comodo. Un “colpevole” dato in pasto al pubblico per non ammettere le vere cause, e le colpe occulte, di un fenomeno di cui certa stampa, e certi ambienti, non dovrebbero affatto preoccuparsi, ma andare fieri.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
Nessun Commento