Uno degli aspetti più sconvolgenti di questo periodo storico, di cui pochi si sono realmente avveduti, è la vittoria schiacciante riportata dalle discipline scientifiche ed economiche su quelle filosofiche e umanistiche. Siamo stati scaraventati nel buco nero mangiatutto della prevalenza del cretino universale. Il cretino universale è la riedizione, riveduta e corretta a beneficio del terzo millennio, di quel tale a cui si riferiva Antonio Gramsci quando parlava di cretinismo economico. Il cretinismo economico consisteva, per il noto filosofo, nell’ingiustificata e stupida protervia con cui gli economisti del suo tempo pensavano di poter dominare il mondo e i suoi sviluppi attraverso la profetica infallibilità delle loro dottrine. Oggi, il cretino universale non è più solo l’economista, in quanto tale, ma l’intellettuale di riferimento, cioè l’uomo di cultura medio. Il quale non è più in grado di portare avanti un ragionamento autonomo che prescinda, per un istante, dalla puerile registrazione dei fenomeni sub specie di ‘report statistico’ o di ‘studio scientifico’. Egli non è, quindi, capace di interrogarsi sui congegni occulti del sistema, sulle sue pecche e sulle sue tare e, magari, sulle soluzioni proponibili e praticabili.
Il cretino universale si limita a blaterale di dati scientifici ed economici, accettando supinamente la realtà che – da quei dati – è fotografata nel momento contingente e fuggente. Poi, l’attimo fuggente fugge, il dato scientifico cambia (la scienza è, per definizione, un sapere transeunte e in costante auto-trasformazione) e il dato economico cede il passo ad altri dati necessariamente diversi. Il cretino universale, però, è convinto che il dato scientifico sia un dogma e che il dato economico vada assecondato come se riflettesse leggi naturali immutabili. Per esempio, il fatto che uno starnuto della borsa o un ruttino dello spread possa far cadere un governo non suscita alcuna perplessità nel cretino universale. Egli è sinceramente persuaso che lo spread e l’indice di borsa rispecchino nient’altro che costanti assolute, come la pioggia o la siccità. O come il capriccioso volere degli dei, nell’età in cui gli dei andavano per la maggiore. Possono essere ‘modificati’ gli dei? No, è ovvio. Al massimo, si può loro dedicare un culto per mezzo del quale – tramite danze tribali o sacrifici umani (oggi si dice: riforme strutturali) – ridimensionarne la furia malmostosa o mitigarne i mutevoli umori.
Ecco, il cretino universale – un cretino al cubo rispetto al quale persino il cretino economico palesa scintille di intelligenza – è il sottoprodotto tipico di un’era disgraziata e alla deriva come la nostra. Ma – per tornare da dove siamo partiti – esso è anche il prodotto finito (e quindi voluto) di un sistema di educazione, formazione, istruzione (in definitiva, di ‘governance’ della cultura, per usare un orrendo inglesismo caro ai cretini universali) in cui si è data prevalenza totale al culto delle scienze e dell’economia e si è dolosamente perpetrato l’omicidio delle discipline umanistiche e filosofiche. Le prime sono funzionali al mantenimento dello status quo. Le seconde ambiscono a rivoluzionarlo. Quindi, le prime vanno promosse, le seconde soppresse.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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