A un certo punto – durante la cena di gala offerta dal presidente uscente Obama a Renzi e ai suoi fratelli d’Italia, sbarcati in America per certificare la rinascita del Belpaese dalle sue stesse ceneri e bla bla bla, – Barack si china verso Benigni e gli sussurra una frase all’orecchio. Al che, il più geniale e anticonformista degli umoristi dai tempi di Giovenale attacca a ridere in un modo financo imbarazzante per il corpo di guardia (la creme dell’italico splendore) del Presidente del Consiglio. E ride, ride, ride, si tiene la pancia, si asciuga le lacrime, si rotola per terra, ma non riesce proprio a smettere. Peggio di uno dei suoi più accaniti fan alla prima proiezione de La vita è bella o di Johnny Stecchino. Ma cosa ha detto Obama a Benigni? Ve lo riveliamo alla fine. Non prima di aver tentato una fenomenologia del genio toscano. Al netto delle sue riconosciute e innegabili qualità istrioniche, del suo talento artistico, della maschera beffarda e della battuta tagliente, il nostro si è sempre contraddistinto per quella sopraffina abilità – ascrivibile alla potenza innata dell’indole più che non alla raffinata coltivazione di una tecnica – di essere sempre al posto giusto, al momento giusto, con le persone giuste a dire e fare le cose giuste. Questo fiuto speciale – in chi ne è minimamente dotato – prende il nome di paraculaggine, ma in chi ne è investito nel massimo grado assume caratteristiche para-divine. Pensate al capolavoro di Woody Allen, Zelig. Nel film, l’attore interpreta un uomo adattabile a qualsiasi contesto. Ecco, Benigni era un compagno duro e puro e teneva in braccio Berlinguer quando il capo del PCI era simbolo di un’Italia moralmente e intellettualmente superiore; poi è stato antiberlusconiano quando l’antiberlusconismo era la cifra di un’Italia eticamente e culturalmente presentabile; infine, si è riscoperto renziano in un momento in cui il renzismo è l’habitus di un’Italia mediaticamente e politicamente autocratica. Insomma, dove c’è da vincere facile Benigni c’è. E con lui, sia ben chiaro, la sua irriducibile simpatia e la sua impareggiabile vis comica di cui pure gli va dato atto. Anche se, passare da Berlinguer a Renzi è un po’ come incapricciarsi di Giovanardi dopo Vladimir Luxuria. Ma – che volete farci – ai mattatori della risata spesso gli scappa la frizione della satira, a loro insaputa, con autolesionistico furore. Ma torniamo a noi, anzi al banchetto a stelle e strisce. Una fonte anonima – e che tale vuol restare – ci ha spifferato le parole bisbigliate dal Barack al Roberto Nazionale: “It’s a pity that an artist like you was not living in the fascist era. You would have been a real op position champion”. Tradotto: “Mi dispiace che un artista come te non sia vissuto in epoca fascista. Sarebbe stato il campione dell’opposizione”. Benigni, poi, l’aereo presidenziale l’ha perso. È ancora là che ride.
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