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IO TARZAN, TU JANE

TARZANPregiatissima Ministra dell’istruzione, le scrivo questa mia perché dell’altro c’è  da dire, se ci permette, sulla faccenda degli studenti italioti inetti alla scrittura e alla parola in senso lato. Vi sono alcune forze che congiurano a loro danno e non serve darci dentro di complottismo per smascherarle. Le abbiamo sotto gli occhi, ogni giorno, in ogni ambito. Per amor di sintesi ne selezioniamo quattro, in differenti settori: i media, la politica, la religione, la cultura. Pensi a come gli esponenti di ciascuna delle summenzionate categorie ci parlano, a come si rivolgono a noi, con quale cifra linguistica e lessicale. Veda i media di massa e prenda i telegiornali. Uno dei comandamenti non scritti dei contenitori di news delle fasce orarie di massimo ascolto impone di tarare il proprio discorso su un ipotetico interlocutore della scuola elementare. Insomma, gli anchor man vengono addestrati a sillabare le notizie in modo da farsi intendere da una platea la più ampia possibile. A tal fine, i geni del marketing suggeriscono di comunicare in modo semplice, cioè banale, piatto e puerile. Passiamo alla politica e concentriamoci sul faccione qualsiasi di un politico qualsiasi – destra o sinistra non importa – mentre fa le lallazioni in favore di telecamera. Egli ha trenta secondi di tempo per veicolare la sintesi della sintesi della sintesi di un concetto complesso già liofilizzato in pillole da colui che, al politico, gli ha dettato la linea. E il politico parla sempre come  Tarzan nei suoi briefing con Cita  o come un povero schiavo in certi romanzi dell’Ottocento. Quanto alla religione, per quanto le chiese si siano svuotate, chi ancora a messa ci va registra un fenomeno inarrestabile: quello dei preti che calibrano le prediche sui marmocchi di sei anni. Scendono dall’altare e iniziano a passeggiare, il microfono in mano come un presentatore televisivo, e rivolgono agli stanchi e assonnati presenti domande del tipo: nella parabola, Gesù fa  come un bravo dottore, siete mai andati dal dottore? La teologia della semplificazione. Parlano come gli allocchi agli allocchi nel paese degli allocchi e forse fanno bene perché ci stiamo trasformando tutti – scendendo a rotta di collo e in senso contrario  la vertiginosa scala dell’erudizione linguistica – in allocchi. Per finire, chi frequenta o lambisce il territorio impervio della comunicazione scritta in quanto giornalista, pubblicista, scrittore, opinionista, cronista, critico è letteralmente ossessionato da un mantra  recitato a memoria da tutti gli addetti ai lavori: scrivi semplice, parla semplice, non usare parole difficili. Insomma, diventa cosi sciatto e disarticolato nell’eloquio da essere accessibile a chiunque, primati inclusi. Anche a costo di massacrare quella lingua italiana di cui poi lamentiamo la scomparsa. Il divulgatore non ha più il dovere di elevare la cultura e le conoscenze dell’uditorio, bensì quello di abbassare e mortificare la propria. Ma forse è giusto così. Cara ministra, io avere finito mia lettera, spero che a te essere piaciuta.

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