È arbitrario sostenere che il livello di decadenza di un periodo storico lo si misura anche dalla capacità di analisi e dalla resilienza al conformismo della sua classe intellettuale? Insomma, possiamo prendere i cosiddetti componenti rappresentativi dell’intellighentia di una nazione e utilizzarli come cartine di tornasole dello spirito critico e dell’attitudine al ragionamento ben fatto di una intera generazione? Sicuramente sì. Per qualche oscura ragione, le due cose, di regola, vanno in coppia. E allora stiamo messi davvero male. È sufficiente uno sguardo alle reazioni delle migliori penne del nostro bigoncio alla storiaccia degli immigrati clandestini (e delle ONG fiancheggiatrici) deflagrata su tutti i giornali nella settimana appena trascorsa. L’IMI (Intellettuale Medio Italiano) è mosso generalmente da alcuni imperativi categorici. Primo: fiutare il vento della correttezza politica; secondo: evitare in qualsiasi modo un’analisi razionale e oggettiva dei fatti; terzo: ignorare deliberatamente i dati in grado di smentire gli assunti di partenza; quarto: scegliere un tormentone, uno slogan emblematico, e attaccarvisi come un naufrago alla trave finché non passa la buriana. Ora applichiamo tale ‘decalogo’ alla vicenda profughi e scafisti per vedere se funziona. E soprattutto ‘come’ funziona la centralina di comando dell’emisfero grigio di un IMI. Primo: arriva la notizia, non confutata, secondo cui i barconi della organizzazioni non governative vanno a prendere i disperati sui gommoni in acque extraterritoriali, spesso utilizzando canali di comunicazione riservati (e privilegiati) con i criminali. Ebbene, l’IMI capisce subito dove tira la bora e va dove lo porta il cuore, cioè mai controvento. Quindi, reagisce pavlovianamente salivando sdegno e banalità del tipo: è un dovere etico soccorrere le persone alla deriva tra le onde. Secondo: un’analisi razionale e oggettiva dei fatti gli permetterebbe di affrontare una caterva di ulteriori e ben più gravi implicazioni rispetto al nudo e crudo precetto morale rubricato sotto lo slogan ‘salviamo i naufraghi’. Lo obbligherebbe a maturare dei dubbi (l’IMI odia i dubbi). Per esempio, se sia ‘politicamente’ accettabile, per uno Stato nazionale sovrano, l’invasione organizzata dei propri confini perpetrata da bande di delinquenti e da complici collusi coi medesimi. Ovvero se l’esodo sia ‘giuridicamente’ prevenibile o sanzionabile. Non conta, non c’entra; l’intellettuale dello Stivale non è pagato per diffondere il ben dell’intelletto. Terzo: nonostante siano arcinote le attendibili fonti alla base dello scandalo, l’IMI le rifiuta con un argomento da tribunale: non ci sono le prove. Di cercarle, quelle prove, o di approfondirle (se ci sono) non se ne parla neanche: potrebbero smentire le tesi precostituite. Quarto: il grido di battaglia diventa: ‘se anche fosse vero, quale sarebbe il reato’? Ecco, non potendo smentire un fenomeno, egli si accontenta del fatto che il medesimo non abbia rilevanza penale (il che è pure falso). Quindi, le ONG ‘deviate’ possono continuare a fare da risciò ai commercianti di schiavi perché tanto sono ‘solo’ complici del reato, mica autori. È pure inutile chiedersi che abbia fatto l’Italia per meritarsi una classe intellettuale così. Con tutti i peccati commessi in passato, sarà di sicuro una questione di karma.
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