Sabato 21 maggio 2016 l’Inps aprirà al pubblico le sue sedi storiche. Esperienza destinata a ripetersi. Dovrete portarci i bambini perché lo studio delle antiche vestigia del passato merita di sacrificare la gita fuoriporta del week end. A Roma, per dire, entrerete nel Palazzo di Piazza delle Nazioni Unite dove potrete ammirare preziose e inedite testimonianze dell’evoluzione della previdenza italiana dalla sua fondazione, nel 1898, a oggi. In una teca strepitosamente illuminata, i vostri figli potranno esaminare da vicino un esemplare ormai estinto di pensionato italiano. Un team di studiosi, specializzati in restauro di fossili, lo ha rinvenuto in una cantina e impagliato come si deve. L’uomo è in discrete condizioni, non corroso dalla decrepitudine, e immortalato nell’atto di godersi una serena terza età. Un’audio-guida a pannello, incassata nel muro, provvederà a mettere in guardia i vostri pupi, e quelli altrui, sull’assurdità di un sistema, fortunatamente superato, in cui era permesso a soggetti ancora reattivi e in buona salute di vivere a sbafo alle spalle della comunità. Esaurita la visita, imbarcate la truppa e dirigetevi a Milano, al Palazzo di Piazza Missori, edificato negli anni trenta da Marcello Piacentini, dove vi mostreranno le sculture di Marini, la scala monumentale, le boiseries di Mario Quarti e, soprattutto (da leccarsi i baffi) un pensionato competitivo in cattività. All’interno di una stanza perimetrata da solide sbarre in acciaio zincato, che sarebbe ingeneroso definire gabbia, languisce un pensionato post moderno. Molto più anziano di quello inamidato nelle teche romane, il soggetto giunge a stento a fine mese, ma ci arriva tagliando sulle spesucce inessenziali e fidando nel sistema contributivo. Funziona così: lui ha messo da parte qualche spicciolo ogni ventisette e, a fine carriera, gli han reso quei pochi fiorini mangiati dall’inflazione, non un centesimo di più. Ai lacrimevoli bimbi, teneri di cuore, spiegate che il sacrificio imposto a tutti i pensionati (perché l’ha chiesto l’Europa) consente di mantenere in vita ciascuno di essi. ‘Chiamala vita’ vi dirà il figlio più sveglio. Tirategli uno scappellotto e conducetelo, l’impertinente, a Firenze, così impara dando uno sguardo al futuro. A Palazzo Quaratesi, detto dei Pazzi, e scelto non per caso, ammirerete la cappellina affrescata della direzione regionale dell’Inps. Qui, in una ghiacciaia aperta al pubblico, sotto un sarcofago di cristallo, viene esposto il pensionato di domani. Così vecchio, ma così vecchio, così esausto, ma così esausto, così povero, ma così povero che, se non fosse una statua in cera stesa su un lettino (catetere, flebo e maschera d’ossigeno d’ordinanza), lo direste morto. E invece è il futuro, illustrato ai figli, il plastico di quando non ci sarà più bisogno di un sistema previdenziale perché il lasso di tempo intercorrente tra la fine dell’età lavorativa e quella dell’età anagrafica sarà così sottile ed esile, così impercettibile e fuggevole, da non costare pressoché nulla alla collettività. Tranne la corrente necessaria a misurare gli ultimi, declinanti, battiti cardiaci. E magari a dargli una bottarella d’incoraggiamento. Ma sempre Inps si chiamerà: Istituto Nazionale della Premorienza Sociale.
Nessun Commento