Per capire Grillo e i grillini non servono i livori della stampa di destra e di sinistra, e neppure le accuse di incultura politica e monomanie complottarde. Non occorre scomodare le eminenze grige formato Spectre che ne tirerebbero le fila, manovrandoli da tergo. Basta consultare le quirinarie on line. Ci rivelano più di qualsiasi analisi polemica e faziosa dietrologia l’anima del movimento che ha sognato di aprire il parlamento come una scatola di tonno e si è poi scoperto una scatola di tonno da cui le sarde sono in perenne libera uscita. E’ sufficiente dare un occhio ai candidati scelti dalla ‘cupola’ e votati dalla ‘base’ per accorgersi che c’è un intruso che c’azzecca con il decantato nuovismo dei 5 stelle quanto un elefante in cristalleria: Romano Prodi. Il simbolo della paleopolitica democristiana anni Ottanta, l’artefice di quell’Ulivo che ci trascinò nel gorgo dell’eurofogna, il notaio del famoso cambio da millenovecentotrentaseivirgolaventisette lire per un ‘marco’, l’uomo per tutte le stagioni dell’anti berlusconismo, il leader meno carismatico e più balbettante della storia patria. Insomma, Prodi dovrebbe stare in calce a tutti i manifesti del Vaffa day, invece campeggia fra i titoli di testa del film sul Nuovo Presidente che frulla nei sofisticati cervelli pentastellati. Non solo viene scelto da chi comanda, ma (il che è persino peggio) viene stravotato da chi obbedisce. Ecco la sintetica risultante dell’irrestistibile ascesa di chi doveva rivoltare la politica italiana come un calzino. In effetti, rivoltanti.
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