Dire che, con la Meloni, in Italia c’è il fascismo alle porte è come dire che, con Letta, sarebbe meglio tenere in casa i bambini per non farli mangiare dai comunisti. Da derubricare a pagliacciata goliardica, se i sostenitori di questa tesi ridicola non pretendessero di essere presi sul serio. Ma funziona. Fa fico, è trendy. E così tocca leggere editoriali lunari con passaggi lirici (e quasi nostalgici) come il seguente, su “La Stampa”, a commento del discorso di Liliana Segre in Senato: “A questa ci aggrapperemo nella marea nera che sale”. L’unica marea a salire, in Italia, è quella marrone della crisi economica, dei rincari, delle bollette lasciataci in eredità dal Governo dei migliori. Un Governo multicolor (dopo quello giallorosso) non a caso idolatrato dai giornaloni de noantri. Ma si sa, dall’arcobaleno al marrone è un attimo.
Ora torniamo al nero, però. E cioè al fascismo. Vale a dire a una pagina della storia patria datata giusto cent’anni. Lo stesso lasso di tempo intercorso tra lo scoppio della Grande Guerra e il Congresso di Vienna. Ma non ci risulta che nel 1914 politici e giornali si stracciassero le vesti paventando il ritorno delle armate napoleoniche. Giusto per rendere l’idea di quanto sia allucinante, anzi allucinato, l’allarme son fascisti risuonante nelle nostre redazioni di punta. Eppure, se Fratelli d’Italia sta al PNF come il PD al PCI di Togliatti, non significa che il rischio di una società securitaria e di un governo liberticida, sulla falsariga delle dittature rosse o nere del secolo breve, sia infondato. Il pericolo vero, però, non sta nel fascismo (o nel comunismo) “storico”, ma nel fascismo e nel comunismo “ideali”.
Vale a dire, nella riedizione di un modello “governamentale” in cui si rivangano gli obbiettivi, e i connotati, dei regimi totalitari di un tempo sotto le mentite spoglie di una sedicente democrazia liberale. Obbiettivi: la ricerca ossessiva di un consenso unanime sui temi di volta in volta in agenda (l’euro, l’austerity, il Covid, i vaccini, la guerra russo-ucraina). Connotati: la compromissione (funzionale agli obbiettivi di cui sopra) dei diritti elementari di libertà di pensiero, di espressione, di circolazione, di libera disposizione del proprio corpo. Il tutto attraverso una sofisticata metodologia di “soft power” due punto zero.
Dove la soppressione del dissenso non passa dai manganelli e dall’olio di ricino, dai campi di rieducazione e dai gulag. Semmai, dall’arma “atomica” della propaganda mediatica mainstream e della scientifica criminalizzazione del dissenso. Con la mordacchia della censura affidata non più ai neri tentacoli di un Minculpop statale, ma ai guanti bianchi dei colossi privati del web. Si badi bene: un simile format è perfettamente compatibile con il rispetto formale della Costituzione e persino con gli ossequi rituali alla “orazione civica” della Segre. Ed è in grado di assorbire qualsiasi contraccolpo e le più atroci contraddizioni.
Persino il biennio di apartheid, di umiliazione, di “maccartismo” verso i renitenti a un siero sperimentale violentemente somministrato sulla base di un assunto rivelatosi falso (e cioè che quel farmaco fosse stato testato per prevenire il contagio). Ironia della sorte: i più zelanti fiancheggiatori, se non promotori, di questo nuovo “fasciocomunismo” in borghese allignano proprio tra chi strilla al pericolo fascista. Alla fine della fiera, resta solo una spiegazione psicanalitica in chiave di “proiezione” freudiana. L’ossessivo-compulsivo latrare all’antifascismo di tanti novelli partigiani (politici, artisti, intellettuali) è determinato da un atavico, e represso, terrore inconscio. Ma non per il fascismo in sé. Per il fascismo in loro.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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