L’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha dunque dato un vero consiglio da presidente. La sua dichiarazione – a proposito del fatto che il capo della BCE sarebbe un ottimo premier – ha in sé un che di fascinoso e sinistro insieme. Forse attiene a una circostanza dura da digerire anche per i più disincantati critici del Cavaliere. Per quanto lo detesti e lo abbia in uggia, persino il suo più inveterato avversario sa che al Cav. va riconosciuta una scintilla di genio. Magari frammista con altri ingredienti innominabili e tali da renderne non digeribile l’impasto, ma tant’è. Il genio c’è. E il genio sta, talvolta se non sempre, nella capacità di sintesi. Per dire, pensiamo all’epopea di Forza Italia e al ventennio trascorso dalla famosa discesa in campo del Novantaquattro. Se si tentasse di raccogliere in un dossier tutte le prove atte a dimostrare la sostanziale inconsistenza e vacuità di quel progetto non basterebbero gli scaffali dell’intero archivio di stato. Poi arriva Berlusconi e te lo fa capire con otto parole: “Mario Draghi sarebbe un ottimo Presidente del Consiglio”. Basta. Punto. Fine. Cos’altro da aggiungere? In questa sentenza c’è tutto, la liofilizzazione sublime e insuperabile di un universo intero e delle galassie che lo hanno popolato e dei pianeti che hanno gravitato attorno al Re sole e delle stelle esplose come supernove per poi implodere in misere nane bianche: da Forza Italia alla rivoluzione liberale, da Fini a Bossi, dal Novantasei alla traversata nel deserto, dal Duemilaeotto alla lettera di Draghi, da Monti a Renzi, dalla Casa delle Libertà al predellino. Non vi è episodio, persona, occasione, idea, promessa, programma, slogan, legge di stabilità, milione di posti di lavoro, abolizione dell’Ici, e chi più ne ha più ne metta (o ne tolga) che non trovi spazio nel consiglio berlusconiano. Un verdetto icastico, cioè solidamente rappresentativo di un’era. Un immenso quanto vano dispendio di energie (anche di popolo, anche in buona fede) profuse da generazioni di militanti genuinamente persuasi dell’imprescindibile rilevanza di una lotta. Cosa resta di questa sconfinata ragnatela di sogni e suggestioni? Un partito europeista, che – quando ha governato – ci ha sospinti a viva forza nelle braccia matrigne della UE e – quando non ha governato – ha lasciato fossero Prodi, la sinistra e l’Ulivo a perfezionare un lavoro che altrimenti il centrodestra avrebbe rifinito benissimo da solo. Un partito il cui leader, oggi, dopo quante ne ha passate e fatte passare agli italiani, nell’acme del culmine dell’apice di una rocambolesca stagione di vittorie e di sconfitte, ammette, senza pudore: ora che vi abbiamo portati fino a qua, e il lavoro sporco lo abbiamo finito, tanto vale che governi direttamente Draghi. E le parole evaporano, superflue, dinanzi al genio. Chapeau.
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