Il nostro sistema è una nave di grosso tonnellaggio in avaria, coi motori fuori uso, la carena sfasciata in più punti, il timone divelto e l’equipaggio in fuga. Per risolvere il problema abbiamo incaricato una squadra di zelanti tecnici d’esterni che hanno studiato nelle migliori accademie e ci restituiranno a breve il vascello dopo averlo scrostato dalla ruggine, carteggiato per bene e reso sexi con uno svolazzo di vernice.
I motori saranno ancora scassati, lo scafo starà colando a picco e l’equipaggio che non si è già buttato a mare ci starà pensando su. I nostri illuminati tecnici ci diranno di stare calmi perché hanno fatto i compiti per casa e quindi tutto andrà per il meglio. Fuor di metafora, essi non sono in grado di farlo perché non osano aggredire il male alla radice invece che trastullarsi con palliativi di facciata. Il problema è che loro, quelli della squadra di soccorso, non possono, magari vorrebbero, ma non possono proprio. Dovrebbero dircelo con onestà, con spirito e gergo apostolico: non possumus, come Pio IX coi Savoia. Infatti, la madre, anzi la matrice di tutte le cause da cui discendono a cascata i nefandi effetti che conosciamo non è un capitolo di budget o un asset da implementare. E’ un’ideologia. Perniciosa come tutte le ideologie, cioè i costrutti teorici che pretendono di poter capire e, soprattutto, di saper spiegare il mondo e di modellarlo in conformità al proprio taumaturgico tocco. Quando una crisi di proporzioni devastanti come quella attuale è determinata da un’ideologia tutti i rimedi che incidono sui sottoprodotti della stessa sono solo panacee inefficaci, al più sbuffi omeopatici buoni a solleticare il sistema. Per questo la cura Monti, checché ne dicano i suoi sponsor, non funziona (e lo testimonia l’arida realtà dei numeri): gli interventi del suo governo, per quanto lodevoli sotto il profilo dell’energia profusa e dandone per scontata la buona fede fino a prova contraria, sono solo tracce di stucco sulle crepe di una nave che affonda. Non è che il gabinetto da lui presieduto sia composto da incapaci. Le medaglie al merito appuntate al petto dei ministri, prima ancora che si cimentassero con la politica, sotto forma di titoli accademici o brillanti successi aziendali stanno lì a certificare che è un gruppo di uomini e donne dalla solida preparazione e dall’indiscutibile professionalità. Ma ciò non cambia di un ette la situazione: carteggiano lo scafo, nella migliore delle ipotesi lo verniciano. E non possono fare altrimenti, ma non perché siano al servizio di chissà quali poteri che remano contro gli interessi nazionali. Piuttosto perché sono intrisi della stessa cultura (o quantomeno la condividono) che costituisce l’enzima di innesco di una specie di spaventosa opera alchemica al nero. Quella che sta trasmutando un’area prospera e benestante come l’Europa occidentale in un campo di macerie fumanti. L’ideologia di cui sono imbevuti è la stessa che ha permeato come una spugna anche le architravi del progetto europeo e consiste nella convinzione incrollabile che i ‘Mercati’ (scritto così, con una riverente iniziale maiuscola) siano una entità dotata di energia propria e di una consustanziale saggezza che gli consente non solo di allocare le risorse nel modo più proficuo, sposando la domanda con l’offerta, ma addirittura di tracciare, come stelle comete, la rotta dei paesi e il benessere dei loro cittadini. Qui non si parla più tanto o soltanto della mano invisibile di Adam Smith o di Ricardo o di altri capostipiti del pensiero liberale. Qui si discorre della trasformazione di questo pensiero in una religione, con i suoi misteri, i suoi dogmi e i suoi pastori. Pensateci, la prima notizia che sentite dai giornali quando vi svegliate, nove volte su dieci è l’andamento dei mercati. Che sono ora entusiasti, ora depressi, ora reattivi, ora furenti. A furia di pensarli, blandirli, evocarli si sono, ai nostri occhi, autonomizzati, hanno acquisito un embrione di coscienza, bruta finchè si vuole, ma altrettanto insaziabile. E ormai è un tic quello di parlarne come se fossero delle persone o delle istituzioni cui abbiamo democraticamente delegato un qualche potere. Gli irresponsabili artefici e fattori di questa dottrina si sono resi conto troppo tardi di aver giocato con il fuoco e ora, come un Dottor Stranamore epilettico, si agitano disperati alla spasmodica ricerca della soluzione. Sennonché non gli è dato vederla perché la cercano dentro il recinto della loro mappa del mondo che è fatta di ‘Mercati’ intelligenti, premurosi, capaci di decidere, per mistica attitudine, sempre e comunque la cosa giusta, proprio come i cardinali in un conclave. Questa idolatria è la genesi di ogni iattura da cui siamo oggi afflitti o, comunque, di quelle decisive. Come l’apertura delle frontiere alla libera e non discriminata circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e delle professioni anche in aree disomogenee per caratteristiche socioeconomiche, guarentigie sindacali, sistemi di welfare. Oppure la delocalizzazione che ha de-industrializzato i paesi periferici europei (salvaguardando solo il parco giochi di Fraulen Merkel) omologando al ribasso le politiche salariali di molte imprese costrette ad abbandonare un modello di crescita condivisa di cui beneficiavano (anche) i dipendenti e non (solo) azionisti rapaci modello private equity. Oppure i deliri antiprotezionisti che hanno spalancato le frontiere della zona euro alla concorrenza spietata e invincibile del dumping straniero. O, ancora, le (solo apparentemente) incomprensibili follie del trattato di Maastricht per cui gli stati della Comunità non possono approvvigionarsi di moneta direttamente dalla Banca Centrale Europea al tasso ridicolo cui invece accedono gli istituti bancari privati. Ecco di chi è figlio lo spread, di un fondamentalismo che rivaleggia, per pericolosità, con quello islamico. Dell’idea che uno Stato non possa più giovarsi di una banca prestatrice di ultima istanza, ma debba andare sui mercati a finanziarsi. Capite bene che questo significa, né più né meno, rendere irrilevanti le agenzie di rappresentanza deputate a tradurre in atti politici le determinazioni del popolo sovrano. La sovranità è ormai non solo sovranazionale, ma addirittura sovra politica o, meglio, extra-politica. Lo sappiamo per averlo vissuto, chi maneggia le chiavi dello spread ha in pugno il detonatore per far esplodere governi legittimamente eletti o per insediarne altri più graditi. Per un seguace del Verbo mercatista ciò è perfettamente logico e giusto perché i mercati sono, per natura, onniscienti, iperefficienti, saggi come gli dei dell’antichità. E operano a buon pro nostro, come insegnavano Friederich Von Hayek e il suo epigono Milton Friedman. Per cui se oggi vi chiedono di rinunciare alla tredicesima, alle pensioni, alle previdenze sociali e domani, magari, al lavoro e a qualsiasi progetto di futuro che non sia tirare a campare fino al ventisette, non dovete preoccuparvi. Tutto sgorga dalla fonte sapienziale dei Mercati che attingono al Bene come un demiurgo platonico al mondo delle Idee e approntano per il meglio ogni cosa. Forse la foga riformista delle tecniche vestali assegnate al Culto dovrebbe applicarsi anche all’articolo 1 della Costituzione. Potrebbero eliminarlo, è obsoleto, inefficiente e poco performante. Non è competitivo. Volete scommettere che il giorno dopo i Mercati si sveglierebbero euforici? Per il nostro bene, si intende.
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