Quante volte ci è capitato di imbatterci nella semplificazione giornalistica del cosiddetto Male assoluto? Soprattutto negli studi storici e nelle riflessioni di taglio etico ad essi applicate viene spontaneo a chiunque (dal filosofo al cronista all’uomo della strada) domandarsi se, per caso – per la smisurata e omicida perversità delle loro azioni, per il loro essere meticolose macchine di morte – taluni personaggi non incarnino una categoria totale e non sfumata come quella, diabolicamente compiuta, del Male assoluto. Il Novecento è abbastanza ricco di personalità drammaticamente cupe, di anime nere così nere da meritare, senza troppe discussioni, un epiteto siffatto. Ma nel ventunesimo secolo? Per ora non ce ne viene in mente una in particolare. Forse è la categoria stessa del male a essere passata di moda, a parte alcuni occasionali ritorni di fiamma dovuti al guizzo creativo di politici a caccia di nuovi nemici (ad esempio l’Asse del Male coniato dalle amministrazioni Usa per definire i paesi non allineati con l’amministrazione a stelle e strisce). Oppure il male si è così diluito e diffuso nel sovrano casino che c’è da non aver più bisogno di condensarsi in un personaggio esemplare, in un campione di razza pura. O forse il male è una categoria troppo semplice e chiara per adattarsi a un secolo pluriforme e contraddittorio come il nostro. Il male è un concetto di grana grossa buono per le solide e ideologiche certezze del Novecento. Oggi, dovessimo individuare un termine altrettanto adeguato, sceglieremmo quello di grottesco che non ha una valenza etica quanto, piuttosto, estetica, ma si attaglia da dio al discorso. Il grottesco consiste nella crasi tra il tragico e il comico. È qualcosa in grado di far piangere e ridere al contempo, di ripugnare per come attrae l’attenzione e di attrarre per come ripugna. Ebbene, se ci chiedessero di individuare un Grottesco assoluto, allora non avremmo dubbi: Jacques Attali si presterebbe alla grande. Consigliere dei presidenti francesi (da Sarkozy a Mitterand), eminenza grigia del processo di de-costruzione delle democrazie popolari e di costruzione dell’a-democrazia europea, Attali è uno degli indiscutibili padri nobili – o numi tutelari se preferite – della burokratura comunitaria. È l’uomo di cui trovate su youtube un gustoso siparietto; lui che solletica il palato fine e il pelo sullo stomaco di una platea di idioti plaudenti dicendo: ci siamo accuratamente dimenticati di inserire nei trattati il diritto di uscire dall’euro. Ebbene, Attali ha appena pubblicato un saggio con Fazi editore (Breve storia del futuro) in cui profetizza l’iper impero nel 2050, l’iper conflitto nel 2060 e l’iperdemocrazia nel 2060. Laddove l’iperdemocrazia sarebbe una società altruistica e positiva che agisce negli interessi delle generazioni successive. Detto da una delle iper-menti artefici della dittatura di Bruxelles è atroce e sublime al contempo. Grottesco, appunto. Quando, poi, questo estroso e impareggiabile propugnatore dell’oligarchia delle elites – dell’esaltazione del dominio sulle masse e dello stritolamento della libertà delle masse – identifica uno dei suoi mentori in Marx capisci perché il Male assoluto non può neppure più trovare cittadinanza nel nostro tempo. È tremendamente fuori moda, fuori tempo, fuori squadra. Rispetto alle coeve tendenze, fa addirittura ridere. Il male, il Grottesco assoluto se lo mangia a colazione. Così come Attali e i suoi compagni di merende stanno mangiandosi il nostro futuro.
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