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Gli spreadatori del BOT perduto (Vol. 6)

Siamo al dunque. Abbiamo compreso, nelle puntate precedenti, che lo spread è un mostro che influenza soprattutto il futuro. Diciamo meglio: un termometro che misura la fiducia dei Mercati nel Sistema Italia. Se lo spread si impenna, i mercati ci chiedono più soldi in occasione delle nuove emissioni di titoli, soprattutto dei BTP. Ma, tra i vari titoli, non esistono solo i BTP. Oltre al BTP BuonTemPone, ci sono altri titoli in circolazione: per esempio, i BOT, buoni ordinari del tesoro e i CCT, Certificati di credito del tesoro. Ora, se tanto mi da tanto, ciò significa che – quanto maggiori saranno i BTP in circolazione e quanto maggiori saranno i BTP di nuova emissione venduti alle aste – tanto più alto sarà il famoso rischio spread. Allora si impone una ulteriore domanda: qual è la percentuale di BTP rispetto al totale dei titoli del debito pubblico? La risposta è, nel 2018: circa l’80 per cento di BTP, circa il 5 per cento di BOT  e circa il 7 per cento di CCT (il resto mancia, come usa dire, cioè titoli minori). Verrebbe da aggiungere: Houston abbiamo un problema.

Se il nostro ammontare complessivo di debito pubblico dipende così tanto dai BTP, allora è ovvio che lo spread (la malattia dei BTP, ricordiamo le puntate precedenti) per noi rischia di diventare un virus letale. Anche perché, non è sempre stato così, anzi. Negli anni Ottanta, i BOT erano il 70 per cento del totale, mentre i BTP erano il 20 per cento. E, più precisamente, nel 2018 solo il 6 per cento di BTP è in mano di risparmiatori italiani mentre il 32 per cento è in mano straniera. Trent’anni fa era il contrario: 4 per cento agli stranieri e 57 per cento ai risparmiatori italiani. Houston, abbiamo due problemi. Non solo emettiamo troppi BTP, ma li vendiamo molto più agli stranieri (fondi speculativi)  che agli italiani (risparmiatori occasionali). Capito adesso perché i Mercati ci tengono per il coppino (per non usare un’altra, più greve e più tonda, metafora?). Gli basta vendere BTP sul mercato secondario per causare un rialzo dello spread e un mezzo infarto ai politici italiani.

A quel punto, Renzi, Martina, la Gelmini e Berlusconi iniziano a terrorizzarci dagli schermi televisivi e i grandi giornaloni e i grandi opinionisti gli tengono bordone. Ma c’è un’alternativa? Certo che sì. L’articolo 123 del Trattato di Lisbona, da un lato vieta agli stati di finanziarsi a costo zero presso la BCE (un altro dei deliri del manicomio chiamato UE, ma sopravvoliamo), dall’alto permette di farlo alle banche pubbliche e private. Notizia: noi abbiamo una banca pubblica (quasi interamente, pubblica, diciamo) la Cassa Depositi e Prestiti. Se la CDP prendesse soldi in prestito a tasso zero virgola dalla BCE, potrebbe poi investirli o nell’acquisto di BTP calmierando le aste, o nell’acquisto di BOT il cui rendimento è deciso non con il meccanismo autolesionista dell’asta marginale (vedi puntata 5), ma con quello più logico dell’asta competitiva (cioè l’interesse lo decide lo Stato e chi ci sta, ci sta). Di più: lo Stato potrebbe tornare a promuovere i suoi BOT pubblicizzandoli ai cittadini che farebbero le corse per un titolo  remunerato   discretamente, ma non ai livelli ben più elevati imposti dai mercati nelle aste dei BTP. Pare brutto? Per qualche insondabile ragione, evidentemente queste idee a qualcuno non piacciono. E allora teniamoci lo spread. Fine della storia. Sperando sia l’inizio di un’altra.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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