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Giustizia e Bonafede

Io non dubito che il ministro della Giustizia Bonafede sia in buonafede quando afferma: “La giustizia ha un peso economico in questo Paese per due motivi: perché un imprenditore vuole sapere quanto tempo ci vuole a recuperare un credito e  quando un imprenditore straniero vuol investire in Italia deve sapere se investe in un mercato pulito o no”. Tuttavia – e lo dico prima da cittadino e poi anche da avvocato – mi cadono le braccia nell’ascoltare queste parole. E, soprattutto, nel cogliere la filosofia che le anima. La stessa filosofia di cui sono intrise tutte le epocali riforme messe in cantiere, e purtroppo approvate, da tutti i ministri della Giustizia degli ultimi vent’anni almeno. I quali – tutti, lo ripeto – sono andati in favore di camera e hanno recitato il loro atto di dolore: in Italia la Giustizia non funziona e quindi gli imprenditori non investono. Oppure: in Italia i tempi della Giustizia sono troppo lunghi e quindi i creditori hanno i crediti incagliati. O, infine: In Italia, ci vuole troppo tempo per far valere le proprie ragioni e quindi i Mercati ci snobbano.

Insomma, la Giustizia civile compressa in una pillola liofilizzata dove giganteggia una sola figura: non quella del singolo, vittima di un fatto ingiusto o del giudice investito del tremendo potere di decidere tra due litiganti entrambi assetati di verità o dell’avvocato desideroso di lavorare in un sistema normale e non in un ospedale da campo (psichiatrico). No, la figura di riferimento del politico medio italiano, quando si occupa di Giustizia, è l’Ufficiale Giudiziario e tutti quelli che, a vario titolo, intervengono nel processo di esecuzione; quindi, anche –  ma solo per motivi collaterali, di ausilio indispensabile in grado di coadiuvarne la funzione – i giudici, gli avvocati, i cancellieri eccetera. Insomma, conta recuperare in fretta  i quattrini e recuperarli subito così da titillare il palato ai Mercati i quali verranno da noi a portarci i soldi che non abbiamo. Il che, in un Paese castratosi con fanciullesco gaudio delle proprie potestà sovrane in ambito economico, finanziario e monetario, ha pure senso.

Da un punto di vista della Giustizia, invece, fa senso. Così come fa senso la ritrosia dei cosiddetti ‘decisori’ nell’introiettare un concetto semplicissimo: la Giustizia non ha bisogno di accelerare i tempi (lunghissimi), ma di accelerare i finanziamenti (scarsissimi). Ha bisogno, per esempio, di riconoscere e valorizzare il valore-lavoro di migliaia di Giudici di Pace pagati indegnamente, come autentici servi della gleba del processo, per quanto fanno e ‘producono’ (tanto per usare un termine caro ai feticisti della crescita). Quando, in Italia, capiremo che le riforme “senza ulteriori oneri per la finanza pubblica” sono una presa per il cesto, sarà sempre troppo tardi. Non dovremmo riformare la giustizia per accontentare i Mercati, ma per accontentare i suoi utenti finali. Anzi, non dovremmo riformare neanche la giustizia, ma la nostra testa per consentirle di capire i meccanismi perversi responsabili del degrado della Dea bendata a Dea col cannocchiale: puntigliosamente occhiuta e ossessivamente tesa a far prevalere il potente sul debole, il ricco sul povero, il creditore sul debitore. In definitiva, i Mercati sui Cittadini.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

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