Questo post è dedicato ai credenti, anzi ai credenti cristiani, anzi ai credenti cristiani cattolici, anzi ai credenti cristiani cattolici praticanti, anzi ai credenti cristiani cattolici praticanti e critici verso Papa Bergoglio. Bene, siamo arrivati sotto la soglia dei fatidici venticinque lettori di manzoniana memoria, ma andiamo avanti lo stesso perché la vicenda merita di essere approfondita. Quando la saga spettacolare e permanente del Papa Francesco Show – alimentata ad arte da tutti i media del mondo, soprattutto quelli più laici e illuminati di ateismo – si quieta, allora è interessante osservare i brillantini rimasti sul tappeto; e la polvere depositatasi sotto. Prendiamo la vicenda della ormai famosa lettera scritta dal Papa emerito Benedetto XVI al vescovo di Roma Francesco primo. In buona sostanza, accade questo. Il pontefice regnante incarica alcuni teologi di spiegare la teologia pontificia ai fedeli. Tra gli altri, sceglie un certo Peter Hunermann, il quale è noto – tra gli addetti ai lavori – per le sue tesi non propriamente in linea (per usare un eufemismo) con il magistero dei due predecessori di Francesco e cioè Papa Wojtyła e Papa Ratzinger. Per dare un segno di continuità con il passato e smentire le voci di un dissidio sul piano dell’ortodossia tra sé medesimo e il Papa emerito, Francesco chiede a quest’ultimo una breve prefazione. Quest’ultimo scrive una missiva di rispettoso diniego, ma la condisce anche con una chiusa tremenda: “Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professore Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali”. A questo punto, al Prefetto della Segreteria della Comunicazione Vaticana (come dire il Ministro per i rapporti con la Mondanità) viene un’idea talmente furba, ma talmente furba che persino le volpi più astute non ci sarebbero arrivate. Diffonde, urbi et orbi, solo la parte iniziale della lettera di Benedetto che recita: “Plaudo a questa iniziativa che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica”. Poi, però, salta fuori il pasticcio e Viganò è costretto alle inevitabili dimissioni. Ora, voi come definireste questa – chiamiamola così – ‘operazione’? Fake news? Forse sì, anzi di sicuro stando, perlomeno, alla seguente definizione: “Le fake news sono uno degli elementi che avvelenano le relazioni. Sono notizie dal sapore veritiero ma di fatto infondate, parziali, quando non addirittura false”. Di chi è il copyright? Di Wikipedia? No, sono parole dello stesso Viganò, pronunciate nel corso di un’intervista ad Avvenire in cui invocava un codice etico contro le notizie tarocche. Ora, a parte l’ipocrisia tipicamente curiale di tutta la faccenda, perché i vertici della comunicazione di Bergoglio avevano bisogno di spacciare per un’investitura di Benedetto quella che, a tutti gli effetti, era una bocciatura? Semplice: perché questo pontificato adora i brillantini (l’apparenza) almeno quanto detesta che se ne scopra la sostanza (la polvere).
1 Commento
Mihai Podeanu
31 Marzo 2018 a 12:54Relata refero da un’amica affettuosa integralista non-tollerante bensì rispettosa:
“Lo correggo. Ratzinger si è rifiutato di fare la prefazione perché, così ha scritto, non aveva tempo. Quindi non la ha fatta”