La Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo ha approvato un progetto di Regolamento, codice “COM 2018 640 final”, con l’obbiettivo dichiarato di contrastare la pubblicazione, on line, di “contenuti terroristici”. La notizia ha suscitato scarso clamore, per usare un eufemismo, ed è strano perché ha a che fare con la libertà di espressione, di parola e di stampa (e quindi, con la censura). Le nuove norme saranno votate dall’assemblea plenaria di Strasburgo nella settimana entrante. Quella che si profila – sotto le mentite spoglie di una contromisura alla propaganda delle forze del male – è l’istituzionalizzazione, sul piano legale, di un impeccabile sistema di censura, anche preventiva. Il che solleva tutta una serie di questioni, soprattutto giuridiche, da non sottovalutare. In primis, quella su una normativa da stato di emergenza, sul terrorismo, in assenza di un’emergenza terrorismo. Solo qualche giorno fa, l’Economist ha dedicato un pezzo alla sostanziale scomparsa del fenomeno nel vecchio continente e alla drastica diminuzione degli attacchi e delle vittime jihadiste in Europa nell’ultimo quinquennio. Quindi, è facile intravedere nel Regolamento un secondo fine che non pertiene agli attentati, ma al controllo del dissenso. Il sospetto è confermato dalla lettura del testo connotato, come tutte le norme comunitarie, da una verbosa e burocratica prolissità. E ciò in barba alla cifra costitutiva di ogni decente legislazione penale: la dettagliatissima specificità della regola, finalizzata ad evitare abusi ed arbitrii. Ma anche a dispetto del requisito caratteristico di qualsiasi legge ben fatta: quello compendiato nella famosa massima di Demostene secondo cui la norma deve essere scritta “in modo semplice e a tutti comprensibile, e non letta da uno in un senso e da uno in un altro senso”. È previsto l’obbligo di rimozione dei contenuti terroristici entro e non oltre un’ora dall’intimazione delle competenti autorità. C’è poi l’entità spropositata delle sanzioni pensate per i vari Google & Company, in mancanza di un loro sollecito adeguamento. La multa, secondo l’articolo 18 comma 4, può arrivare fino al quattro per cento del fatturato annuale (quindi, cifre monstre). È del tutto ovvio che, di fronte alla prospettiva di dover pagare somme così ingenti, i responsabili delle grandi piattaforme, per non saper né leggere né scrivere, provvederanno a rimuovere senza indugio i contenuti incriminati. Anche, magari, di fronte a un semplice articolo di cronaca, o di critica, o di satira il quale contenga riferimenti ambigui, o addirittura solo presunti, al fenomeno terroristico. E qui arriva il secondo enorme baco, sul piano giuridico. Posto che i giganti digitali si tutelano da sé e hanno molto più a cuore la loro libertà di far quattrini che non la libertà di parola dei rispettivi utenti, chi tutela questi ultimi? A sentire le autorità europee non ci sarebbe alcun problema giacché, nell’articolo 6, è scritto che le misure di rimozione devono “tener conto dei diritti fondamentali degli utenti e della fondamentale importanza della libertà di espressione e informazione in una società aperta e democratica”. E sapete chi dovrebbe tutelare i sacri valori? Secondo l’articolo 10, non un magistrato, ma gli stessi gestori delle piattaforme on line i quali appronteranno, a buon pro del soggetto censurato, “efficaci” meccanismi di reclamo. Con tanti saluti al diritto di poter far valere le proprie ragioni davanti a un giudice terzo. Un effetto collaterale del terrorismo applicato alla libertà, diciamo. Ma non è finita qui. L’articolo 5 prevede, accanto agli “ordini di rimozione”, i “deferimenti”, che sarebbero poi degli allarmi soft, per così dire, inviati al provider in ipotesi di fatti non abbastanza gravi da meritare la censura oraria. In tal caso, il provider potrà anche rifiutarsi di obbedire, ma a suo rischio. Nel dubbio, l’articolo 6 gli viene in soccorso consigliandogli, “ove opportuno”, di dotarsi di “strumenti automatizzati” per “rimuovere e disabilitare il contenuto terroristico”. Il che significa il rischio concretissimo di incappare nella ghigliottina propedeutica di sofisticati algoritmi i quali cancelleranno le voci “sospette” in base all’insindacabile filtro di una macchina. Filtro inevitabilmente severissimo e tarato sulla priorità di salvaguardare le casse delle big corporation, mica le velleità del pensiero critico. Ma chi saranno gli zelanti custodi incaricati di difenderci dal “Terrore”? Ciascuno Stato designerà i propri, ci dice l’articolo 17, ma stando alle regole sulla giurisdizione dell’articolo 15 sarà competente lo Stato dove si trova non già chi ha veicolato il contenuto, bensì “lo stabilimento principale del fornitore di servizi di hosting”. Potrebbe così accadere che un cittadino italiano sia “bannato” da un censore straniero. Senza contare i prevedibili sviluppi futuri di una simile filosofia: quanto potrà ulteriormente restringersi lo spazio del “dicibile” quando, accanto al terrorismo, dovessero essere inseriti anche altri peccati meritevoli di “attenzione”? Per esempio, l’odio o la discriminazione o qualsiasi altra vaghissima categoria invisa al politicamente corretto? Tuttavia, non disperiamo. Il regolamento in questione è palesemente incostituzionale e dovrà quindi passare al vaglio della nostra Corte la quale, in ripetute occasioni, ha statuito che neppure i Regolamenti comunitari possono vulnerare i principi inviolabili e i diritti fondamentali della nostra Carta. Tra i quali rientra, en passant, la libertà di espressione garantita dall’articolo 21 per il quale la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. E tale norma (applicabile pure alle pubblicazioni on line secondo le Sezioni Unite della Cassazione) contempla già anche la possibilità di sequestro, ma nei soli casi previsti dalla legge o per assoluta urgenza e, comunque, sempre con atto motivato dell’autorità giudiziaria. Per chiudere, ricordiamoci che questa bella pensata non è del Parlamento europeo, ma della Commissione, un organo di ventisette “saggi” non eletti da nessuno che detiene, in Europa, il monopolio dell’iniziativa legislativa. Ma non preoccupiamoci. L’articolo 3.1 delle premesse al Regolamento sul terrorismo ci informa che lorsignori hanno fatto un sondaggio! E il 90 per cento degli intervistati ha riferito di ritenere “importante limitare la diffusione di contenuti illegali online”. Numero degli interpellati cui è stata sottoposta, per l’approvazione, questa perla di generico qualunquismo: 8.961. Un po’ pochini, dite, per un territorio con 500 milioni di persone? Non sottilizziamo. È la democrazia ai tempi dell’Unione Europea, bellezza.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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