Se il mondo non finirà come noi, se l’Italia di Draghi si confermerà – come ora pare – un bizzarro incidente della storia, se il Nuovo Ordine Italiano rimarrà limitato ai confine dello Stivale, allora un giorno qualcuno si prenderà la briga di scriverci un libro. Cioè, di studiare e approfondire – dal punto di vista sociologico e psicologico, prima ancora che politico – lo straordinario caso del “Paese-che-si-fece-democraticamente-totalitario”. Dove, per “democraticamente” intendiamo “consensualmente”. Vale a dire con il beneplacito ebete e pacioso della maggioranza grassa e inerte dei cittadini.
Ovviamente, il libro rappresenterà un dossier ben più corposo di queste poche righe, ma proviamo intanto a buttare giù qualche considerazione a futura memoria. Nelle giornata di ieri abbiamo fatto un passo indietro di quasi cento anni nelle conquiste di un secolo (di battaglie) sorto sulle macerie di una dittatura. In sintesi, ci siamo svegliati in un posto dove – per esercitare il diritto inviolabile al lavoro – è necessario esibire una tessera come i non ariani nel ventennio. Per di più, a pagamento, salvo sottoporsi a un trattamento sanitario sperimentale non obbligatorio. Tra l’altro, in assenza degli unici due requisiti propagandati: una emergenza pandemica e una campagna vaccinale insufficientemente estesa.
Bene, tutto ciò è avvenuto senza esercito nelle strade, senza elezioni connotate da brogli o da violenze, senza intimidazioni. Quindi, primo punto: il ritorno al fascismo non è una eventualità “possibile” e “temuta”, ma un dato di fatto “certo” e “accettato” a livello popolare. Solo la creatività italica poteva brevettare la prima dittatura “consenziente” e “fai da te”, per così dire, della storia umana. Però, per fortuna ci sono le eccezioni; eccome: milioni di cittadini ancora renitenti alla leva vaccinale, migliaia di persone nelle piazze.
Qui, però, va registrato il secondo dato stupefacente che riguarda la stampa nazionale. In un paese normale, essa darebbe ampio spazio alle proteste, griderebbe al pericolo alle porte, soprattutto con una classe intellettuale fascisto-fobica come la nostra. E invece no. Quasi tutti i quotidiani (con un paio di isolate eccezioni) son contenti e i loro direttori lustrano le penne soddisfatti come tacchini in attesa del forno. Titoli sparsi del 16 ottobre 2021: “Green pass, l’Italia non si ferma” (Corriere della Sera), “Il G-day passa il primo test” (Repubblica), “Vince l’Italia che lavora” (Libero), “Riparte l’Italia del green pass” (Il Messaggero), “Pochi disagi, L’Italia non si è fermata” (Il Resto de Carlino), “Sì pass, la vera Italia” (Il Mattino), “L’Italia è sì pass” (Avvenire).
Almeno, ai tempi della buonanima, il partito unico al potere aveva bisogno del Minculpop, delle veline, delle leggi liberticide per ottenere obbedienza. Oggi, i media fanno tutto da soli. Di nuovo: primo caso al mondo di eutanasia democratica salutata con gaudio dai cosiddetti “cani da guardia della democrazia”. Poi c’è l’ultimo aspetto straordinario meritevole di un capitolo a sé. Un solo giornale titola, a tutta scatola, contro il pericolo fascista: “Ora è sempre, mai più fascismi”. Ed è il foglio comunista “Il Manifesto”. Ma se vi germoglia in cuore una speranziella, abbandonatela. Ce l’anno col fascismo del 1921, mica con quello del 2021. Praticamente hanno bucato la notizia con appena un secolo di ritardo. Se mai qualcuno scriverà il libro di cui sopra potrebbe intitolarlo “Il senso dell’Italia per la democrazia”. Oppure: “Italia: una democrazia che fa senso”. Suona anche meglio.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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