Mi hanno raccontato la storiella di un tizio che, un giorno, camminando per le vie del centro, si imbatte in un muro dove campeggia questa formula: SFI>PBP>BC>GDE>OP<GDE<BC<PBP<SFI+CM=MPxP+GCxM. Un giovane dall’aria svagata, più da studente disimpegnato che da matematico erudito, ha ancora il gessetto fucsia in mano e osserva i passanti distratti, quasi a volerne sollecitare l’unica domanda plausibile: che diavolo significa? Un po’ per sfizio, un po’ perché gli dispiace ignorarlo, alla pari di tutti gli altri, il tizio decide di fargliela. Il ragazzo sorride e risponde: “È la ricetta della crisi, me l’ha rivelata il prof di economia alla lezione di venerdi scorso e io l’ho traslata in una formula tipo quella della relatività di Einstein: E=MC al quadrato. La mia significa: Speculazione Finanziaria Internazionale si mangia e condiziona i Poli Bancari Privati che si mangiano e condizionano le Banche Centrali che si mangiano e condizionano i Governi Democraticamente Eletti che si mangiano e condizionano l’Opinione Pubblica che approva ed esegue le politiche dei Governi Democraticamente Eletti che approvano ed eseguono le politiche delle Banche Centrali che approvano ed eseguono le politiche dei Poli Bancari Privati che approvano ed eseguono le politiche della Speculazione Finanziaria Internazionale. Il tutto, unito alla Connivenza dei Media, genera Massimi Profitti per Pochissimi e Grande Crisi per Moltissimi”. La storiella, sul momento, mi ha fatto sorridere per la sua ingenua brutalità. Poi, però, mi sono a mia volta imbattuto in tre notizie dure quanto il muro dell’aneddoto e capaci di instillarmi il dubbio che quella formula, come la celebre equazione di Einstein, celasse un sottofondo di verità. La prima riguarda gli aiuti forniti da alcune potenze occidentali al loro sistema bancario e l’ho tratta dallo straordinario saggio di Felix Martin dal titolo ‘Denaro’ edito da Utet. Tenetevi forte: dal 2007 al 2012 gli Stati Uniti hanno speso il 4,5% del PIL per la ricapitalizzazione delle banche too big to fail (troppo grosse per fallire), suppergiù quanto l’intero budget annuale stanziato per la difesa in tempo di guerra. La Gran Bretagna ha speso l’8,8% del PIL, cioè una somma di gran lunga superiore al suo sistema sanitario nazionale (vanto delle britanniche sponde, fino a poco tempo fa). Nel novembre 2009, un anno dopo il leggendario crack della Lehman Brothers, il totale del sostegno statale al settore bancario globale era stimato in 14 mila miliardi di dollari, pari a più del 25% del PIL mondiale. Sono cifre spaventose che sembrano confermare quanto disse Thomas Jefferson nel 1816 a proposito dei dirigenti bancari ‘più pericolosi degli eserciti schierati’. Soprattutto se consideriamo che, con soldi pubblici, sono state salvate banche giocatrici d’azzardo a spese dei piccoli risparmiatori. Qualcuno dirà che abbiamo imparato la lezione, che i croupiers della globalizzazione hanno poi rimesso le cose a posto punendo gli imbroglioni bancarottieri e rimettendoli in riga. È qui che subentra la seconda notizia, frutto della pignoleria di un giornalista americano, Michael Snyder, che ha avuto la pazienza di Giobbe (e lo stomaco di ferro) di leggersi l’ultimo rapporto trimestrale dell’OCC, id est l’Office of the comptroller of the courrency, l’ente pubblico di controllo delle banche a stelle e strisce. E cosa ha scoperto il curiosone? Che, in barba alle lezioni della storia, anzi della cronaca, e contro ogni logica, le banche d’oltreoceano hanno continuato a baloccarsi con i virus letali della crisi: i derivati, le cartolarizzazioni, i credit default swap, insomma tutta la porcheria di prodotti finanziari guastatori che aprirono, sei anni or sono, la crepa nella diga del debito mondiale. In particolare, ognuna delle prime cinque banche americane è esposta in derivati per più di 40 trilioni di dollari, cioè più del doppio dell’intero debito nazionale dello Zio Sam. La JP Morgan Chase ha una esposizione di 67 trilioni di dollari a fronte di 2,5 trilioni di asset, Citibank di 60 contro 1,9, Goldam Sachs di 54 contro 1, Bank of America di 54 contro 2,1, Morgan Stanley di 44 contro meno di un milione. Stiamo parlando di somme astronomiche in bilico su un nulla intessuto di folli e disgraziate scommesse su un futuro di prosperità che non c’è. Stanley ha così commentato la faccenda: “Quando la bolla scoppierà (e scoppierà sicuramente) il dolore che causerà per l’economia globale sarà maggiore di quanto le parole possano descrivere”. Svaligiando i casinò della Las Vegas planetaria, le mega banche hanno costruito fortune immense. Intanto, il buco generato nel 2008 è stato ripianato dal piano Marshall con cui, nel triennio successivo, i governi hanno disinfettato le perdite spalmandole, come mostarda avvelenata, sull’avvenire dei loro cittadini. Mentre i tapini si stracciavano le vesti contro la casta e i suoi sprechi da quattro soldi, zelanti esecutori, democraticamente eletti, facevano da palo agli autori della più grande Stangata della storia. Ma l’Europa ne è rimasta fuori, direbbe l’idiota di Dostoïevski. Mica vero. La Deutsh Bank, simbolo della tetragona severità teutonica, è esposta in derivati per 75 trilioni di dollari, diciamo quanto il PIL mondiale o, se preferite, cinque volte il PIL europeo. Stiamo parlando di una delle istituzioni più rispettate, del genere che discetta su riforme strutturali ed etica pubblica reggendo il timone del Titanic che affonda. I nani da giardino nostrani, che fungono da mozzi sul ponte di prua, hanno fatto versare all’Italia quattro punti di PIL (60 miliardi) a favore del Fondo Salva Banche mentre la BCE irrora di denaro a costo zero i loro forzieri dolendosi di non poter fare altrettanto con gli Stati al collasso. Nel contempo, gli stessi nani burloni ci dicono che dobbiamo stringere la cinghia e accondiscendere agli umori dei Mercati, alias delle banche, alias degli speculatori internazionali. È qui che il cerchio si chiude con la terza notizia. Nel 2015 scadranno 141 miliardi di BTP decennali, insomma di titoli del debito pubblico da rifinanziare. E chi li rifinanzierà? I mercati, of course, ma a una condizione, come ci spiega Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore: “Finchè l’Italia si mantiene saldamente ancorata all’euro, all’eurozona, ai partner europei, il rischio Italia scompare dagli schermi dei trader mondiali in Bto e degli investitori esteri interessati ad asset Italiani”. Tradotto, significa che se, poco poco, i popoli del vecchio continente oseranno dar credito alle sirene divergenti dei movimenti cosiddetti populisti e anti euro, i Mercati schiacceranno un bottone e la valanga del debito oscillante sulle nostre teste ci seppellirà. Quando l’ho letto mi è tornata in mente la storiella del giovane studente, della sua formula bislacca e soprattutto di come va a finire quando il tizio gli chiede: “Ora che lo sai, come ti senti?”. “Come Newton, se avesse intuito la legge di gravità sonnecchiando sotto la diga del Vajont un attimo prima del crollo”.
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