L’altro giorno un collega mi ha detto: “Se vogliamo sopravvivere, l’unica possibilità è unire le forze, creare studi più grossi e robusti, in grado di affrontare le sfide di un mercato sempre più competitivo e le incombenze martellanti che ti tolgono il tempo e la voglia di dedicarti alla tua attività”. Sulle prime ho avuto un moto di stizza perché uno dei privilegi, uno dei pochi privilegi, di fare una libera professione è, per l’appunto, il fatto che è ‘libera’ cioè non condizionata: non hai soci che ti stressano, condirettori che ti pressano, direttori che ti umiliano e che limitano la tua libertà. In effetti, il lavoratore autonomo – per quanto sia esposto ai venti della concorrenza e della volatilità delle stagioni – ha un vantaggio straordinario rispetto a tanti altri: non può essere licenziato. E in un mondo dove i licenziamenti vanno via come il pane e dove una striminzita liquidazione senza paracadute non la si nega a nessuno (neanche ai manager più pagati, scafati, diplomatici e avveduti) è tanta, tanta roba. Eppure, quel collega aveva ragione. Quella per la sopravvivenza dei lavori non ‘alienati’ nel senso di non appaltati alle voglie e ai desideri di un soggetto terzo da cui dipendono le sorti e la stessa vita è una battaglia di retroguardia. Perché il nemico è troppo forte per essere battuto e ha, dalla sua, l’appoggio incondizionato dei cosiddetti governanti che sono poi i primi ‘governati’ di un Sistema concepito per uccidere la libera intrapresa individuale. Una delle strategie più sofisticate, e meno appariscenti, per estinguere di morte naturale professioni piccole, anzi lillipuziane, è quella di rendere sempre più pesanti e difficilmente gestibili le attività (se non ricorrendo alle economie di scala di un soggetto più grosso che ti mangia e ti priva, appunto, della libertà). Basti pensare al numero incalcolabile di minutaglie burocratiche affastellatesi sul tavolo degli ultimi mohicani del lavoro libero tra la fine dello scorso e l’inizio del nuovo millennio: dall’antiriciclaggio alla privacy, dalla 626 alle varie ‘informative’ alla clientela e via burocratizzando in una parossistica carnevalata di scartoffie. L’ultimo coniglio fuoriuscito dal cilindro dei prestigiatori UE si chiama Regolamento 2016/679 in materia di protezione dei dati personali che entrerà prossimamente in vigore. Il Garante per la privacy ha già licenziato la guida in vista della fatidica data del 25 maggio 2018. Quando la leggerete e, studiandola, vi chiederete come sempre il perché di un simile profluvio di nuovi adempimenti, ricordatevi sempre di non guardare il dito, ma la luna, se non volete passare per idioti. Il dito è la privacy, ovviamente. Ecco: la scusa per inchiodare il vostro tempo prezioso all’agonia della scrivania e della modulistica è la protezione di quel sacro valore (la privacy appunto) che è tanto più vilipeso e misconosciuto quanto più aumentano i ridicoli papelli e le grottesche pedanterie bizantine destinate a tutelarlo. La luna, invece, siamo noi. Che, se non l’abbiamo ancora capito, dobbiamo eclissarci in fretta.
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