Le cose che la Corte Costituzionale non avrebbe mai potuto scrivere le ha messe nero su bianco il Tribunale di Firenze il 31 ottobre scorso. Ma facciamo un passo indietro. Giusto un anno fa, il 31 ottobre 2021, una psicologa impugnava avanti al TAR della Toscana il provvedimento con il quale l’Ordine professionale di riferimento le comunicava la sospensione dall’attività per non essersi sottoposta al vaccino anti-Covid-19 ex art. 4 D.L nr. 44/2021. La ricorrente chiedeva anche i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti a tale misura draconiana. Il TAR declinava la propria competenza a favore della giustizia civile e la psicologa adiva il Tribunale di Firenze. Inoltre, la stessa depositava anche un ricorso d’urgenza, a fronte del quale, il Giudice le concedeva, il 6 luglio scorso, il provvisorio reintegro in attesa delle difese dell’Ordine.
Ebbene, letta ed esaminata la comparsa difensiva di quest’ultimo, il Tribunale toscano, con l’ordinanza in commento, conferma in toto il proprio provvedimento (inizialmente pronunciato in via cautelare “inaudita altera parte”). Trattasi di una vera e propria “demolizione controllata” di moltissime delle incongruenze, o addirittura falsità, della interminabile campagna vaccinale iniziata con le fanfare sul Brennero nel Natale 2020. Partiamo dall’efficacia assai scarsa della vaccinazione. Il magistrato cita la letteratura scientifica a supporto di tale “deficienza” strutturale del siero (in particolare, uno studio pubblicato su The Lancet il 01.12.21), ma va anche oltre. Evidenzia, infatti, come tale consapevolezza sia un elemento “tanto diffuso nella percezione comune di questo momento storico da essere fatto notorio perché tutti sanno che i vaccini non impediscono il contagio (…); trovandosi in situazioni identiche non è pensabile un trattamento discriminatorio dei non vaccinati”. Promemoria per Draghi, verrebbe da aggiungere.
Veniamo poi agli effetti avversi. Il Tribunale cita il report annuale di AIFA (22 morti correlabili su 580 e un nesso di causalità riconosciuto in più dell’80% delle segnalazioni gravi), ma anche le stesse avvertenze delle case produttrici (nota informativa Comirnaty) sulle infiammazioni cardiache. Ed è da tale elementare constatazione per tabulas, come direbbero i giuristi forbiti, che il Giudice ricava la radicale incompatibilità dei farmaci a mRNA con l’articolo 32 della Costituzione e, soprattutto, con la giurisprudenza granitica della Corte Costituzionale (sentenza nr. 307 del 1990). In particolare, laddove quest’ultima afferma che un obbligo vaccinale è concepibile solo in presenza di “conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”.
Ma c’è di più: la scriteriata, e per certi versi isterica, campagna vaccinale condotta con il deliberato (e dichiarato) intento di “non fare prigionieri”, per così dire, contrasta non solo con i principii fondamentali della nostra suprema Carta, ma anche con i valori guida dell’Unione europea consacrati negli articoli 1 e 3 della Carta di Nizza. Secondo tali irrecusabili, e non negoziabili, ideali la vita e la dignità umana non sono barattabili con (né sacrificabili a) qualsivoglia (presunto) valore superiore. Quindi, i criteri dettati dalla giurisprudenza della Consulta non lasciano spazio ad una “valutazione di tipo quantitativo”. Come dire che è inammissibile, in senso assoluto, che una campagna vaccinale obbligatoria lasci morti o feriti gravi sul terreno. Non abbiamo usato a caso l’aggettivo “sacrificabili”.
È la stessa pronuncia a impiegarlo in un passaggio lapidario: “Se, invece, in contrasto con i valori dell’Unione europea e delle Carte fondamentali degli stati membri, si dovesse ammettere la sacrificabilità dell’individuo all’altare della collettività, ammettendosi un bilanciamento tra interesse collettivo e interesse individuale e la possibilità di sacrifici umani (…) non soltanto l’individuo sarebbe sempre soccombente ed esposto all’arbitrio di una maggioranza parlamentare che di volta in volta individui l’interesse collettivo prevalente, come per esempio la pressione sugli ospedali (…) ma verrebbe meno la stessa certezza del diritto in una materia così fondamentale e delicata del diritto alla vita delle persone”.
Vi sono altri cinque punti chiave nella pronuncia in questione, prima del gran finale. Primo punto: la questione della diretta disapplicabilità delle norme impositive dell’obbligo. In base al principio statuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea fin dalla sentenza c.d. “Simmenthal” del 1978, i giudici nazionali hanno il dovere di disapplicare (senza necessità di ricorso al sindacato di costituzionalità della Consulta, nel caso italiano) le norme “domestiche” confliggenti con quelle europee, sia anteriori che successive.
Secondo punto: nella fattispecie sussiste una eclatante violazione del sacrosanto diritto al consenso informato, “una delle pietre angolari del costituzionalismo post bellico” declinato nella inderogabilità del rispetto della IDENTITA’ PERSONALE e della LIBERTA’ DI AUTODETERMINAZIONE BIOETICA DI CIASCUNO (n.d.r.: scritto in maiuscolo nell’ordinanza del Tribunale di Firenze) e conclamato nell’articolo 2 della Convenzione di Oviedo del 1997: “L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”. Qui, secondo il Tribunale di Firenze è in gioco qualcosa che viene addirittura prima dei diritti, val a dire la dignità umana: “Se i diritti inviolabili sono indivisibili e tra loro devono essere bilanciati, la dignità invece è la stessa base dei diritti”.
Terzo punto: i vaccini, a dispetto degli equilibrismi semantici di Big Pharma e dei suoi corifei, sono a tutti gli effetti sperimentali (autorizzati solo in forma condizionata in base al regolamento europeo nr. 507/2006) e suscettibili di implicare, secondo alcuni studi, una “trascrittasi inversa” con efficacia quindi negativa e una maggiore esposizione del vaccinato a “rischi di contagi e neoformazioni tumorali”.
Quarto punto: il rifiuto della ricorrente di sottoporsi alla vaccinazione è vieppiù giustificato perché “nessun cittadino europeo può essere costretto a trattamenti farmacologici sperimentali specie quando, come in questo caso, esistevano evidenze scientifiche sulla efficacia degli antinfiammatori sin dalle prime fasi della malattia” (e viene richiamato lo studio dell’Istituto Mario Negri pubblicato già nel giugno 2021 su riviste facenti capo a The Lancet).
Quinto punto: la ricorrente è stata anche discriminata, per le proprie opinioni personali, in violazione dell’art. 21 della Carta di Nizza pur non sussistendo alcun valido motivo scientifico per cui la stessa fosse sospesa dall’albo rispetto ai colleghi vaccinati “potendo entrambi contagiarsi”. In conclusione, la pronuncia del Tribunale fiorentino costituisce una vera e propria summa antologica di quasi tutte le più solide (e scientificamente basate) motivazioni contro l’obbligo vaccinale. E – oltre a essere un buon viatico in vista dell’udienza del 30 novembre prossimo in Corte Costituzionale, sulla legittimità dei vaccini obbligatori – si conclude con un clamoroso, e doveroso, rinvio degli atti alla Procura di Roma “per gli eventi avversi e i morti e le numerose criticità evidenziate e per il fatto che la campagna vaccinale prosegue ed è stata recentemente persino estesa ai neonati dai sei mesi in su, senza alcuna sperimentazione”. Quindi, ora la parola passa al penale.
Per dirla con Bertold Brecht, c’è un giudice in Italia. Ma a Firenze, non a Roma.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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