Illuminante post di Antonello Angelini su Il Giornale.it da utilizzare quando qualche n(euro)illuso vi racconterà che l’Italia è un paese medievale non al passo con i tempi che non sa cogliere le strepitose opportunità offerte dall’Europa Unita. Di solito il maldestro e sedicente secchione vi strizza l’occhio e dice: ma lo sapete quanti soldi buttiamo via per non saper accedere ai fondi messi a disposizione dalla munifica Ue? Fate un bel sospiro e ricordategli che quei soldi sono nostri, cioè denari che escono dalle nostre tasche, volano a Bruxelles e poi (solo in parte) tornano al mittente (sempre noi) se il destinatario sa destreggiarsi in un ginepraio burokratico da far invidia al Castello di Kafka. Ma le parole contano zero, quando cantano i numeri: il contributo italiano per salvare altri paesi e altre banche è stimato da Bankitalia in 60 mld di euro (15 volte l’imu prima casa, per intenderci). Da notare che dei circa 28 mld di euro stanziati dalla Ue a favore dell’indigeno italico, 14,5 mld non sono stati ancora utilizzati (fonte Eurispes). Ma, nota bene, buona parte di queste risorse alla magnifica comunità le abbiamo fornite proprio noi. Funziona un po’ come il Mes (Meccanismo europeo di stabilità): lo Stato elargisce i soldi a un ente terzo (la famosa ‘Europa’) e questa ‘Entità’ glieli presta in caso di bisogno. Lo so che vien da ridere ma più o meno tutta la Kostruzione di Bruxelles funziona secondo logiche da manicomio criminale. Dulcis in pro-fundo: se le regalie ad oggi non impiegate (13,5 mld) non saranno spese entro il 31.12.15, l’Italia dovrà rinunciarvi. Ecco il vero motivo che dovrebbe indurre gli italiani a indignarsi, altro che lotta alla casta e agli sprechi. E ogni singolo premier di ogni singola coalizione che ci ha governato negli ultimi venticinque anni dovrebbe essere chiamato a risponderne, qualunque sia il colore della casacca per la quale ha dichiarato di giocare. Gaber si chiederebbe: è di destra o di sinistra uccidere la dignità di un popolo? E avrebbe pronta anche la risposta: sostituire la ‘o’ con la ‘e’.
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