Mattina del ventiquattro giugno duemilasedici, dì della liberazione. Interno giorno del palazzo reale di Re Giorgio, alla storia Napolitano. Il past sovran si aggiusta la vestaglia di porpora, scende a colazione e trova il cavalier servente, pronto con le news della mattina: “Ecco il succo e i bon bon, padre della patria. Mi scusi l’impertinenza, ma ha visto l’esito del referendum inglese?”. Il monarca a vita abbozza un signorile sorriso di circostanza: “certo plebeo, cioè scusa, Matteo, certo che ho visto. Sono andato a letto subito dopo gli exit poll e ho appreso con cauta e moderata soddisfazione che i sudditi della mia collega Elisabetta hanno saggiamente optato per il remain”. Mentre il Re dei re spalma la crema di Nutella sulla fetta biscottata, il cameriere frigge sulla graticola: “Mi perdoni, signore, veramente l’exit poll ha cannato. Direi piuttosto che il popoll ha votato exit”. Sua Altitudine tradisce un moto di patrizio disappunto: “Come dici, prego? È una battuta, per caso?”. Il servile servitore serve il caffè lungo su tazze di ceramica di Manchester e affonda il colpo: “No, è verissimo. Ha vinto la Brexit e pare che abbiano votato per l’uscita proprio i proletari inglesi. Sono orgoglioso della sua vittoria, presidente”. Napolitano trasecola e gli va di traverso una mollica. “Ma che dici, impertinente?”. Il subumano coglie l’irritata smorfia e cerca di parare il colpo: “Cioè, voglio dire, hanno votato a favore della Brexit soprattutto i vecchi, i poveri, i meno abbienti. Senta qua. Nell’Inner London e nello Scotland è stato quasi un plebiscito per il remain. Invece, nelle terre grame del popolino, tipo lo South Yorkshire e il Lincolnshire ha trionfato la Brexit con quasi il 70%. Insomma, hanno perso Elton John, David Beckam, e persino l’autrice della saga di Harry Potter e tutti gli altri miliardari del globo favorevoli alla Ue sono stati presi a pesci in faccia dalle masse proletarie”. Napolitano crolla sul sufflè, la faccia attonita, la forchetta di platino nella mano destra, il cucchiaino d’oro nella sinistra: “Dici davvero babbeo? Cioè scusa, Matteo?”. Il liberto tenta una difesa: “Mah, venerando, lei è un antico comunista, si è battuto per decenni a favore del riscatto delle masse proletarie, ha lottato per la democrazia, cioè per il governo del popolo, con l’insignificante parentesi di Budapest. È il suo momento. Faccia un discorso a reti unificate per dare un senso compiuto a un inappuntabile curriculum, per rivendicare la ribellione degli ultimi contro il governo dei mercati e delle cupole finanziare globali. Se non ora, quando?”. Il Napolitano, furioso, si alza, terreo in volto: “Ma che minchia dici, non so di che parli. La democrazia è una roba troppo complessa per farla maneggiare al pueblo. Piuttosto portami del pane, stupido!”. Il cameriere, affranto, capitola: “Il pane è finito, capo”. Il sire alza il mignolo, lo sguardo vacuo: “Fa niente. Dammi una brioche”.
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